(Kiev, 11 febbraio 1903 – Auschwitz, 17 agosto 1942)
"Non avrebbe mai dimenticato quella breve stagione. Mai avrebbe ritrovato esattamente quel genere di piacere. Ci resta sempre in fondo al cuore il rimpianto di un'ora, di un'estate, di un fuggevole istante in cui la giovinezza si schiude come una gemma. (Jezabel)"
Da ricordare come scrittrice di talento, Irène Némirovsky è stata soprattutto una donna che ha vissuto intensamente la propria breve vita, iniziata nel 1903 a Kiev sotto l’impero dello Zar, poi terminata prematuramente nel campo di concentramento di Auschwitz dove venne deportata nel luglio del 1942 in quanto ebrea, per essere eliminata nelle camere a gas.
Figlia di un dirigente bancario, crebbe in una famiglia dell’alta borghesia, in un ambiente altolocato prima in Russia e poi in Francia, a Parigi, dove i genitori emigrarono poco dopo la rivoluzione di ottobre per sfuggire alle ritorsioni dei bolscevichi che vedevano nella famiglia Némirovsky una contiguità con il regime zarista.
Proprio in Francia l’adolescenza di Irène fu caratterizzata da una certa spensieratezza, dalla partecipazione a feste, balli e divertimenti vari, conditi da diversi flirts ed esperienze amorose. Questi ricordi tornano ciclicamente in alcuni stralci dei suoi romanzi quali ad esempio “Due” o “Il Ballo“, nei quali traspare la gaiezza di questi tempi felici, le gioie e le virtù della giovinezza, epoca felice e scanzonata della vita, benché di breve durata, nella quale si prova quel sentimento struggente che è l’amore, sublimato dalla passione fisica tra un uomo e una donna.
La giovane comincia a scrivere seriamente una volta arrivata in Francia dove nel 1929 dà alle stampe il suo primo romanzo, “David Golder”, subito un grande successo editoriale che narra le vicende di una famiglia ebraica e s’incentra in particolare sulle vicissitudini del capofamiglia: successi e sconfitte nel mondo degli affari e il conflittuale rapporto con la figlia. Indubbiamente si tratta di un’opera dal forte contenuto autobiografico, tanto nel richiamo alle origini ebraiche quanto alle relazioni con i genitori. A proposito di relazioni difficili con la famiglia vale la pena di ricordare anche “Jezabel”, romanzo nel quale la frivola e inquieta ereditiera protagonista non accetta di invecchiare e prova invidia e fastidio nel constatare la giovinezza e la bellezza della figlia, forse una rappresentazione della figura della madre dell’autrice. In maniera del tutto analoga temi molto simili e critiche a un certo tipo di femminilità borghese, sempre riconducibili all’esecrabile comportamento della madre, si ritrovano anche ne “Il vino della solitudine”.
Con lo scoppio della guerra, nel 1939, inizia per Irène, il marito e le figlie (nel frattempo si era sposata con un banchiere di origini ebraiche) un periodo difficile in seguito all’intensificarsi dei provvedimenti antiebraici adottati dal governo francese. Nonostante le progressive restrizioni di libertà e le continue vessazioni subite, questi anni si dimostreranno però molto floridi dal punto di vista letterario. L’autrice comincia la stesura della sua opera più famosa, la “Suite francese” poi rimasta incompiuta in quanto, nel 1942, la Némirovsky prima viene catturata e quindi deportata ad Auschwitz dove troverà la morte. Se il manoscritto si è potuto conservare e poi pubblicare postumo, il merito è delle figlie della scrittrice che hanno intrapreso questa difficile scelta. La prima parte di Suite francese è un affresco nel quale diversi personaggi, di diversa estrazione sociale, fuggono da Parigi nel 1940, quando ormai i tedeschi sono prossimi a entrare nella capitale come esercito vittorioso. In queste pagine non sono risparmiate critiche nei confronti della classe borghese agiata, quella stessa classe sociale da cui proveniva Irène, qui rappresentata in tutto il suo egoismo nel non avere remore a salvarsi la pelle anche a scapito della povera gente, come se per diritto divino la guerra dovesse usare due pesi e due misure a seconda del censo e degli interessi delle parti coinvolte. Il conflitto sociale si acuisce nella seconda parte dell’opera, nella quale trovano spazio anche altri aspetti come l’amore, la nostalgia per i propri cari lontani (nel caso dei tedeschi invasori), morti, dispersi o catturati (nel caso dei francesi), elementi che sembrano coinvolgere trasversalmente conquistati e conquistatori, a dimostrazione del fatto che la guerra non fa distinzioni.
Ugualmente interessanti oltre al romanzo incompiuto sono alcuni appunti lasciati da Irène: da essi emerge la fitta corrispondenza intercorsa con l’editore e altre autorità locali e traspare la preoccupazione per il deterioramento delle condizioni di vita della popolazione ebraica. Allo stesso tempo però si denota il coraggio della scrittrice, che pare non perdersi d’animo davanti alle difficoltà; anzi sembra trovare la determinazione e la sicurezza che le permisero di stendere due delle cinque parti nelle quali il romanzo si sarebbe dovuto articolare.
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