Ginevra Lilli alla reggia di Monza – 18 ottobre 2019
Un incontro di pura armonia al piano nobile della Villa Reale di Monza, tra le morbidezze dei tappeti e le curve gentili degli stucchi. Luci soffuse e note emotive. Ginevra Sanfelice Monteforte Lilli trasuda sangue blu da tutte le parti, come ammette lei stessa, collocandosi perfettamente in questa sognante cornice. In un pomeriggio dove il sole si è preso una rivincita sulla pioggia e i colori autunnali si sono accesi dietro le vetrate smisurate, Antonetta Carrabs, Presidente della Casa della Poesia di Monza, ci introduce alla conoscenza dell’autrice di Diario Ordinario, più marchesa che contessa. Ginevra Lilli ama prendere scherzosamente i suoi titoli nessun merito, è un bagaglio che uno si ritrova. Intanto firma assorta le copie della sua raccolta poetica, dipingendo in estemporanea con un pennellino intinto nell’inchiostro rosso, mentre il maestro Max De Aloe l’accompagna dando voce alla sua sorprendente armonica cromatica.
Ginevra Sanfelice Lilli abita a Roma, ama la Sardegna, e ha un legame stretto con Milano. La sua vita si caratterizza per la dinamicità di molti approdi. Leggendo il suo Diario Ordinario ci narra di questa bellezza. La poesia ha un valore assoluto come strumento di armonia anche quando ci parla di dolore. Mi piace quando vengo a Milano, interrogare silenziosamente questa città. Mio nonno era milanese, sono per un quarto milanese anche io. Quando sono partita per questo appuntamento qui a Monza, ero molto emozionata, mia madre mi ha detto “immagina di essere in treno”, perché in viaggio mi trovo a mio agio, mamma sa che in treno di solito lavoro e scambio conoscenze. Mio padre mi ha rassicurato “vai in un luogo accogliente, non sei in trincea”, lui ha questo registro militare perché è stato ammiraglio.
Ginevra Lilli ci guida attraverso un viaggio strutturato in vari momenti. Il suo Diario, perché di questo si tratta, è dedicato a Laura Lilli. Donna e scrittrice che ha intercettato la fragilità di Ginevra, ed è diventata una figura costante nella sua vita. Anche adesso che non c’è più fisicamente. La poesia mi ha salvato e in questa raccolta propongo momenti della mia vita di un arco temporale molto esteso.
Ginevra ci ha letto alcune poesie tratte dal Diario. Sono poesie autobiografiche, gli eventi narrati sono frammenti di vita vissuta. È un diario in versi. E non è strano. Ho cominciato a scrivere diaristica a dieci anni, con mia nonna. L’aggettivo Ordinario è ispirato alla semplicità a cui è orientata la vita e per opposizione all’aggettivo della raccolta Formiche Straordinarie di Laura Lilli. La poesia mi ha salvato perché è capace di racchiudere il dolore in una scatola possibile, per evitare che ci mangi vivi. Di recente accompagno la poesia al disegno, che si è affacciato spontaneamente alla mia interiorità, con un’urgenza e una creatività simili a quella del segno scritto. In qualche modo i due segni sono le facce di una stessa emozione, di un medesimo significato.
Tra le tematiche più caratterizzanti e ricorrenti troviamo il mare, una presenza straordinaria. E mentre la voce vibrante di Ginevra danza tra le pareti antiche, la musica dell’armonica la veste con il suo movimento, onde lievi che spiaggiano sui versi profondi.
Ogni poesia è accompagnata da una data e da un luogo, per fare memoria della sua genesi. Alcune sono dedicate a persone a cui Ginevra è molto affezionata, presenze fondamentali come Francesco Moschini a cui è dedicato un inedito. Altro registro, altra tonalità troviamo nelle filastrocche, che sono zoppe, disordinate “non filano” come dovrebbero, e sono un po’ birichine.
Ginevra si racconta al pubblico, che è presente numeroso. Svela piccoli aneddoti legati al suo legame con la scrittura. Scrivo tutti i giorni, dai dieci anni tengo un diario e ho conservato tutto in un armadio, vi lascio immaginare come può essere. A volte ci rovisto dentro e trovo, o ritrovo, cose impensabili. A dieci anni è cominciato come un’imposizione di nonna Giulia, ma poi pian piano è nata la consapevolezza del potenziale della scrittura. Ho composto persino delle poesie in francese, quando studiavo alla scuola francese. Ginevra legge alcuni brani che hanno il sapore del ricordo e della incredibile consapevolezza che si ritrova nel pensiero e nel sentire di una bambina, che volgeva spesso alla tristezza e alla malinconia. Per sua natura era una bambina solitaria. Ma avevo anche momenti belli!
Ma il dolore che è venuto, il dolore sanguinante, è stato descritto in modo lieve (Antonetta Carrabs).
La scrittura mi ha permesso di avere un punto di vista un po’ distaccato e ha portato una luce in fondo al tunnel. Questa luce me la sono immaginata, forse, me la sono creata io. Non tutti ci riescono. Prendersi cura di sé è un dovere morale. Ci fa stare meglio, e ci migliora. (Ginevra Lilli)
Ci hai indicato una strada, un antidoto al dolore più alto. Sono molto colpita da questa espressione “mi sono immaginata una luce”. Cercare di intravvedere un inizio nuovo, una strada differente. A volte ci si ferma sulla soglia di un dolore per paura di entrarci, di caderci dentro a capofitto. Interloquire con il dolore per volgere al suo superamento è una bella cosa. Anche le filastrocche sono una via “stringo la penna e graffio la carta”, (A Carrabs)
Ginevra. La domanda sorge spontanea: re Artù o Lancillotto? (Paolo Pezzaglia)
Non ho una vera risposta. Bisogna averli tutti e due, avere una sicurezza. Arrivata a Milano ho parlato con il tassista (è una cosa che mi piace molto chiacchierare con i tassisti) e confrontando Roma e Milano ha detto “sono come la moglie e l’amante. Vai da una e vuoi tornare dall’altra”.
La Sardegna viene fuori in maniera quasi fisica dalla tua poesia. Come mai questo amore? (A Carrabs)
È amore per una terra magnetica. Ho un riferimento forte in quella terra, un amico di famiglia. La mattina laggiù comincia con un enorme orcio di miele che fa lui. A sette chilometri sotto Olbia, davanti all’isola Tavolara. La Sardegna è un segno, un richiamo, mi porta in questi luoghi che hanno suoni gutturali nei loro nomi. Il suono profondo della U, è come se uscisse la parte più oscura, quella che mi è venuta incontro nelle poesie. Forse ho trascurato la parte più solare e magica. L’ altra isola a cui sono grata è Pantelleria. L’isola più remota. Ho riflettuto anche sulla sua architettura naturale, è quasi viva.
Mentre l’incontro volge al termine la musica accarezza lo spazio e Ginevra annota sensazioni amo i taccuini, la carta è paziente. Ho un rapporto fisico con la carta. La poesia deve nascere su carta, deve essere scritta a mano. Per elidere e rifare io rigo le poesie in verticale.
Antonetta Carrabs chiude l’incanto di una sera che ha preso il volto della notte. Sostare in un luogo dove musica e poesia riescono a fondersi è commovente. Ne abbiamo bisogno di questi luoghi, ci parlano e ci consolano.
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