«Fino a poco tempo fa il mio più alto ideale umano era l’uomo forte sanguigno e consapevole di Shakespeare e se vogliamo di Balzac – l’uomo completo con tutti i vizi e tutte le virtù – tutto il mio sistema di vita era appoggiato su questo ideale per questo ideale ho fatto diverse e non tutte pure esperienze e perciò quel che a Lei forse era sembrato generosità, non era qualche volta che consapevole e mal intenzionato esperimento. […] Ad ogni modo per ora la questione è di vivere cioè di fare esperienze: […] io ho davanti a me tutte le questioni più dure di conoscenza umana e di elevazione morale e dietro di me solamente qualche piccola vittoria sul tempo e qualche piccolo esperimento – […] tutto è chiaro avanzo e non mi riesce di vedere altra via che quella seguita da tutte le ambizioni – la più grande precarietà è in ogni mia azione – […] sono sull’orlo di una disperazione ormai troppo abituale».
A. Moravia, Se questa è la giovinezza vorrei che passasse presto. Lettere [1926-1940], Bompiani, Milano, 2015.
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In questo passaggio di una lettera all’amico Andrea Caffi, Alberto Moravia, un ventenne tormentato da problemi esistenziali e letterari, traccia una specie di autoritratto psicologico: il suo ideale umano, la sua aspirazione era di poter agire e vivere come un personaggio tratto da una tragedia di Shakespeare o da un romanzo di Balzac. E lui aveva letto tutte le opere del drammaturgo inglese e molti, se non tutti, romanzi del francese. Ma tutto è mutato. È molto emozionante cogliere, in queste righe privatissime, quel che angustia, genera sofferenza e spinge fino alla disperazione quel giovane romanziere che sta tentando di mettere insieme la sua vita, dopo anni di sanatorio, e ancora nell’incertezza del suo primo romanzo: Gli indifferenti. Molti giovani e giovanissimi potrebbero riflettere e, perché no?, riconoscersi nelle sue parole, scoprendo che ad ogni momento di sofferenza può seguire una parentesi meravigliosa di felicità.
Angelo Favaro
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