Pasolini: poeta, regista, narratore, corsaro – Abbiamo realizzato quest’intervista rivolgendo alcune domande a Angelo Favaro, professore, critico, studioso, quest’anno particolarmente impegnato in una serie di convegni che hanno Pasolini come protagonista.
D – Angelo, nel quarantesimo anniversario della morte sei stato particolarmente attivo, anche all’estero, in convegni sulla figura di Pasolini. Dopo Praga, Salonicco… qual è l’interesse oltre frontiera per PPP?
R – Pasolini è un artista a tutto campo, che divide il pubblico tanto degli studiosi quanto dei lettori esperti o occasionali. In alcuni casi è amato e studiato, penso alla Francia, alla Germania, in altri invece e appena sfiorato, superficialmente, e senza un vero interesse, ad esempio negli USA o in Cina, dove ancora non si trova tradotta l’Opera poetica. Certamente sulla scorta della fama del cinema italiano nel mondo, sono molto conosciuti i suoi film: Mamma Roma, Il Vangelo secondo Matteo, Il Decameron, Medea. A Praga sono intervenuti studiosi dell’Opera di Pasolini davvero preparati e le cui riflessioni e studi sono particolarmente incisivi. Per il prossimo convegno di Salonicco, in Grecia, ci sono interpreti dell’Opera di Pasolini e traduttori dei suoi testi, con i quali conversare appare illuminante.
D – E in Italia? A distanza di anni i pregiudizi, le diffidenze e le resistenze verso un personaggio scomodo sono state superate?
R – Ovviamente no. L’Italia è un paese molto tradizionalista, che oppone una resistenza talvolta insensata: posso narrare della mia esperienza. Ci sono scuole superiori, dipartimenti universitari, addirittura riviste scientifiche che non vogliono nemmeno sentir parlare di Pasolini. E non poco scalpore ha suscitato la decisione del ministro Franceschini di istituire una commissione ad hoc per le celebrazioni del quarantesimo anniversario.
D – Recentemente abbiamo letto che l’Autorità Giudiziaria ha deciso di archiviare l’indagine relativa all’assassinio di Pasolini. Come commenti questa decisione?
R – Non ho in merito un’idea precisa. Io penso, personalmente e senza alcuna prova di quel che dico, che Pasolini non sia stato assassinato da una sola persona, per evidenti ragioni che attengono alla “fisicità” di Pasolini. Uomo atletico, allenato, che faceva sport e giocava a pallone: un ragazzino diciassettenne non avrebbe da solo potuto compiere quel che è stato compiuto contro di lui. Ma al contempo non credo ai complotti, in questo seguo il pensiero dell’amico Alberto Moravia, che ha sempre ribadito la versione di un assassinio compiuto negli ambienti della prostituzione giovanile. Forse un incidente. Forse Pino Pelosi non avrebbe voluto uccidere Pasolini. Anche perché non era la prima volta che si vedevano per consumare un rapporto sessuale, perfettamente consenziente e a pagamento. Forse uno scherzo che più ragazzi volevano fare a Pasolini, una “lezione” finita male. Molto male.
D – “Pier Paolo Pasolini: poeta, regista, narratore, corsaro”, così abbiamo intitolato quest’intervista. Nei convegni come rappresenti la complessità e la versatilità del personaggio?
R – In sostanza attraverso la sua multiforme opera. C’è una chiave che deve guidare tutti coloro che vogliono leggere e tentare di comprendere il pensiero, la poetica, l’Opera di Pasolini. Ed è contenuta in due affermazioni del poeta: ne Le ceneri di Gramsci, egli in versi, rivolgendosi al popolo dalla sua inalienabile condizione di borghese, parla de «Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere; del mio paterno stato traditore – nel pensiero, in un’ombra di azione – mi so ad esso attaccato nel calore degli istinti, dell’estetica passione». La contraddizione è una cifra non solo estetica o stilistica, ma concettuale e eversiva per entrare nel textus pasoliniano. L’altra è una citazione dal suo film Il Vangelo secondo Matteo, e proprio in questi giorni è appena uscito un volume a cura della dott.ssa Maura Locantore, che riprende nel titolo la frase che voglio segnalare: «Non sono venuto a portare la pace ma la spada». Ogni osservazione, ogni riflessione, ogni opera di Pasolini è una cesura dolorosa e angosciosa segnata contro l’ipocrisia.
D – Com’è nato il tuo interesse di letterato per Pasolini? E il tuo interesse umano?
R – Invero, ero molto piccolo, accadde proprio l’anno della morte. Io sono cresciuto a Sabaudia, di Pasolini si parlava molto. Spesso lo si vedeva in città con Moravia e la Maraini. Quando morì in tv era citato continuamente, ma ogni volta che si entrava in argomento o c’era un servizio televisivo ad hoc, i miei genitori spegnavano la tv, e conversavano d’altro. Crescendo sono stato molto colpito dalla sua scrittura poetica: ricordo che in biblioteca a Sabaudia c’erano alcuni suoi libri di poesie, e li leggevo, li divoravo. Mi sembrava una poesia “giusta”, nel senso proprio del significato di giustizia e di verità che suscitava in me lettore fanciullo. Al liceo nessuno mi disse mai di Pasolini. Poi il primo anno d’università, fui condotto dal mio prof. di Storia del Teatro e della Drammaturgia Antica Greca e Latina, come studente meritevole, a Siracusa a vedere le rappresentazioni classiche. Conobbi in quell’occasione Vincenzo Di Benedetto, il grecista, esperto di Eschilo, che mi donò la prima edizione della traduzione dell’Orestiade, che Pasolini approntò su richiesta di Vittorio Gassman. Posseggo ancora quel libretto. Poi durante gli anni dell’università lo lessi praticamente in modo ossessivo e completo.
D – Quali sono i tratti distintivi – se ve ne sono – della poesia di Pasolini? Hai dei componimenti che prediligi su tutti?
R – La poesia di Pasolini traguarda un lungo periodo di scrittura: dai versi degli anni giovanili a Casarsa, e le Poesie a Casarsa sono del 1942, fino ai versi de La nuova gioventù (1975), che è l’ultimo volume di poesia pubblicato in vita da Pier Paolo. Non è semplice delineare tratti distintivi sia per quanto attiene ai temi, sia per le scelte linguistiche e stilistiche. È una poesia densa, d’un lirismo incantato e al contempo angosciato quella dei primi anni. Certo è che quel Pasolini non si perde mai, rimane e permane nei suoi versi, anche in quelli più duri, anche in quelli corsari e ribelli, componimenti giambici. Condivido quel che ha scritto Fernando Bandini: «Pasolini è un poeta che cerca la propria forma al di là (al di sopra?) dello stile, mimando ogni volta una nuova figura di sé attraverso una pronuncia sacrale, “sciamanica” dei testi (è Zanzotto a parlare di un Pasolini-sciamano)». Bisogna leggerli questi versi. Amo, confesso amo da sempre alcuni passaggi del poemetto Il pianto della scavatrice:
Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L’anima non cresce più.
È una preghiera, nell’Usignolo della Chiesa cattolica, l’invocazione al Cristo:
Cristo alla pace
del Tuo supplizio
nuda rugiada
era il Tuo sangue.
Sereno poeta,
fratello ferito,
Tu ci vedevi
coi nostri corpi
splendidi in nidi
di eternità!
Poi siamo morti.
E a che ci avrebbero
brillato i pugni
e i neri chiodi,
se il Tuo perdono
non ci guardava
da un giorno eterno
di compassione?
Potrei proseguire lungamente. A tutti i lettori chiedo di andare ad ascoltare dalla viva voce di Pasolini Supplica a mia madre (https://www.youtube.com/watch?v=nNRcb6a4sxI).
D – Possiamo dire che “Il vangelo secondo Matteo” esprime la religiosità laica di Pasolini?
R – Certo straordinaria religiosità mista ad un laicismo sempre coltivato dalla ragione. Il Vangelo pasoliniano è un’opera di poesia, una poesia di un tipo tutto particolare: la poesia dello scandalo. Non bisogna pensare a Pasolini come a una brava persona, timorata di Dio, nata e cresciuta in una famiglia della buona borghesia, un giovane che ha studiato e si è laureato anzi tempo, etc. etc. No! Pasolini è un giovane, poi un uomo che vuole dare scandalo, che vuole fare pensare, che si serve dello scandalo per offrire ai suoi interlocutori le ragioni di un dubbio. La sua forza e la sua attualità risiede nell’attacco a tutti i luoghi comuni borghesi e del capitalismo. Basterebbe rileggere con attenzione Atti impuri, per comprendere. Lo strumento dello scandalo è il sesso. Esibito e maledetto. Vissuto con foga inappagata e inappagabile, con giovani e giovanissimi. Non si può mistificare questo, non si può tacere. L’Opera di Pasolini è anche questo, forse non soprattutto questo, ma certamente ne è una parte determinante. Anche il Vangelo è un film incompreso: voglio dire molto chiaramente che non è un film sul figlio di Dio, ma su un uomo venuto a scandalizzare con i suoi modi e con i suoi messaggi. Questi modi e messaggi sono tanto scandalosi che nonostante i duemila anni trascorsi da quando sono stati pronunciati, non si sono ancora nemmeno lontanamente affermati nell’immaginario dell’umanità. Ama il prossimo tuo come te stesso… è ancora lontanissimo dal trovare una realizzazione anche solo embrionale.
D – L’amicizia tra Pasolini e Moravia è stata oggetto del convegno di Anzio. Cosa ti colpisce in questo legame tra letterati? Nel rapporto tra Pasolini e Moravia possiamo ravvisare i canoni ideologici e fattuali di una vera amicizia?
R – Non proprio, tuttavia è un’amicizia profonda, forte, fondata non sull’assenso reciproco, ma su un costante dibattere da posizioni differenti. Moravia è fratello maggiore, un po’ padre, molto affettuoso e carico di simpatia e comprensione verso Pasolini. Pasolini al contrario è scontroso, spesso sollecitante e irriverente, non senza malizia pone domande e affronta problematiche, lasciando intendere che ormai Moravia rappresenta un passato lontano, ma la stima è costante e l’affetto è indiscutibile. Quel che più mi colpisce è comunque e sempre il rispetto delle differenti posizioni ideologiche e umane. Sono letterati differenti, sono uomini differenti che riescono, attraverso l’affetto reciproco e l’intelligenza a comunicare criticamente e costruttivamente. Dalle numerose fotografie che ho osservato, mi ha molto colpito la complicità amicale. Le parole che Moravia pronuncia all’orazione funebre di Pasolini sono un monumento di affetto e di dolore. Credo che la loro amicizia negli ambienti della cultura e della letteratura sia un unicum irripetibile. In conclusione posso ricordare che Moravia ebbe a dire a Paris sull’amico, ormai lontanissimo e al contempo sempre presente, che era un decadente un po’ dannunziano, interessato alla patta dei pantaloni. Se si analizzano con attenzione queste parole, Pasolini apparirà in una luce più chiara. Decadente non è usato in senso spregiativo, ma fortemente evocativo del vero significato della poesia, penso a Rimbaud e Verlaine, a Mallarmé, e dannunziano potrebbe essere inteso nel senso della completezza espressiva in tutti i generi letterari e artistici … sulla patta dei pantaloni (certamente giovani, molto giovani), magari ci soffermeremo un’altra volta.
Avrei davvero tante altre domande da porti. Le rimandiamo alla prossima occasione… grazie, Bruno Elpis
Aggiungi un tuo commento
LEGGI COMMENTI ( 2 commenti )