Il protagonista di Grandi momenti di Franz Krauspenhaar, edito da Neo, è un cosiddetto ‘lupo grigio’, cioè un cinquantenne, che ha avuto un infarto e lo dice apertamente, in una specie di diario-confessione. La cifra ideologica del personaggio, il suo cosiddetto mood, è una sorta di esistenzialismo crepuscolare, il protagonista infatti non ha problemi materiali ed economici, anzi, ma riflette su se stesso e sulla condizione esistenziale in generale, soprattutto dopo il suo infarto, questo ricorda La grande bellezza, con la differenza che là non c’era l’infarto, però c’era la morte di altre persone. Questo protagonista ha tuttavia continuato a scrivere, anche se ha rinunciato all’autorialità, all’arte, per darsi alla letteratura usa e getta e farne un sacco di soldi, situazione analoga al protagonista di Birdman, nel cinema, e a quello di Misery di Stephen King. Durante le sue fughe in macchina fuori Milano per sentirsi ancora vivo, vede il padre trasmutato in un animale totemico: una lepre, elemento che ricorda credenze esotiche che vanno dagli indiani d’America al Giappone, ma mi fa pensare anche all’italiano Landolfi che su Kafka scrisse l’ironico racconto Il babbo di Kafka introducendo la figura del padre-ragno, alludendo contemporaneamente a La metamorfosi e ai cattivi rapporti tra Kafka e suo padre. Il padre del protagonista è morto anni prima lasciando un vuoto morale e anche economico che ha condizionato le sue scelte e zavorrato di rancore la sua coscienza. Egli ora vive con l’anziana madre, che ovviamente si preoccupa per la sua salute, ma che lui respinge a suon di offese e bestemmie, e con il fratello, che ha velleità artistiche e che forse è invidioso del suo successo e gli rimprovera il fatto di non sapersi staccare dalla famiglia per godersi la vita pur avendone le possibilità economiche. Spesso la miseria esistenziale e spirituale ha come contraltare una vita materiale non disprezzabile. Per esempio, quanto a donne, il protagonista di Grandi momenti, Franco Scelsit non ha difficoltà ad averne accanto, piuttosto ha difficoltà a tenersene una e innamorarsi, però le donne non vengono mai descritte, si nomina il momento in cui il protagonista è con loro, spesso dopo il coito. In base ai miei gusti mi interessa quando vengono mostrati i meccanismi dell’attrazione, le dinamiche di approccio o anche semplicemente quando le donne vengono descritte fisicamente. Esse sono importanti nella vita e lo sono anche nella letteratura: nella vita però non si può schioccare le dita e avere una donna nuda accanto a sé, nella letteratura invece chiunque può andare con ragazze di tutte le età e di tutte le bellezze. Ma potrebbero anche non essere belle, per questo è interessante saper descriverle senza ricorrere a stereotipi, inoltre mi sembra un trucco troppo facile sfruttare il potere della letteratura e dell’immaginazione per farle apparire e sparire a piacimento. Si accenna a una storia abbastanza importante del protagonista e alla sua fine, che lo ha segnato in negativo, ma di questa donna si dice poco o niente e non si spiegano le ragioni della rottura del rapporto, meccanismo che deriva decisamente dallo show, don’t tell anglo-americano.
Il declino inevitabile della psiche e della vita spirituale del protagonista di Grandi momenti sembra alludere a soluzioni drastiche come nel finale di Una vita di Svevo o di L’umiliazione di Roth, poi in realtà si rimane sospesi tra il lieto fine e la tragedia in una sorta di apatia disumana che ricorda il finale della serie Dexter.
Grandi momenti attira subito l’attenzione del lettore, essendo scritto bene e presentando un personaggio il cui cinismo ispira simpatia, circondato da vecchietti infartuati e da una Milano che non riconosce più. I punti deboli a mio avviso, che poi sono quello che secondo me manca a questo romanzo per essere ancora più bello e varcare la soglia dei libri che meritano di essere ricordati, sono il mancato approfondimento delle figure femminili di cui ho parlato prima e il fatto che non capita niente. Certo, messa così è una critica debole e banale, dal momento che non capita niente nemmeno nell’Ulysses di Joyce, ma oggi siamo nel 2016 e il problema del romanzo contemporaneo a mio avviso è unire la forma al contenuto: quando c’è un plot ben strutturato e interessante c’è un linguaggio convenzionale e banale, quando c’è un linguaggio originale, magari mediato da letture di alto livello, manca il plot interessante. Anche perché non stiamo parlando di un romanzo modernista o postmoderno, in cui l’io va a spasso e sproloquia per trecento o più pagine o si frammenta in diversi ‘io’ spaziando in citazioni e inserti di opere precedenti o di altre culture. Questo tipo di romanzi aveva un’origine precisa, un senso e uno scopo ben definiti, qualche anno fa. Oggi questo tipo di romanzi avrebbe il fascino del diverso e avrebbe senso per il coraggio di opporsi all’omologazione, ma si tratterebbe comunque un’emulazione di forme e stili passati e allo stesso tempo è un tipo di scrittura talmente eclettico che è difficile da emulare essendo legato soprattutto alle qualità del singolo scrittore. Anche il genere della cosiddetta ‘auto-fiction’, a cui Grandi momenti si ispira senza appartenervi, dato che chi dice “io” ha un nome diverso da quello dell’autore, ha avuto il suo apice una decina di anni fa. Stiamo parlando però di un romanzo ultra-contemporaneo, della seconda metà degli anni Dieci del ‘2000, di circa 150 pagine, il cui contesto spazio-temporale è ben definito: siamo a Milano, il protagonista è uno scrittore, vorrebbe essere un artista invece scrive gialli, ha diverse donne, ma nessuna di cui valga la pena innamorarsi, un padre defunto che lo tormenta nei ricordi, una madre anziana che lo tormenta nella vita e soprattutto un infarto a cui è sopravvissuto, ma che lo ha messo in confusione da un punto di vista esistenziale, portandolo a una crisi di mezza età da cui non sa uscire e che gli fa addirittura desiderare di morire. A questo punto però mi sarei aspettato, o avrei desiderato, che capitasse qualcosa nella sua vita, qualcosa di bello come l’incontro con una donna speciale, o di brutto come il coinvolgimento in una rapina o in un incidente. Krauspenhaar invece ha voluto scrivere un altro tipo di romanzo: il protagonista è un arrabbiato cronico, un ribelle che ricorda personaggi di opere come Il giovane Holden e Look Back in Anger, con la differenza notevole dell’età. Egli ci coinvolge per tutto il libro nei suoi pensieri, nelle sue amare considerazioni sulla vita e sulla morte, nelle sue visioni che indicano forse un cedimento psichico, in maniera analoga, anche se con una scrittura meno sperimentale, a quanto fa il protagonista de Il male oscuro di Berto. Fino al finale, che sembra quasi accennare a viaggi spazio-temporali alla maniera di Billy Pilgrim in Slaughterhouse Five quando in realtà sta probabilmente descrivendo la manifestazione di una sindrome schizofrenica e che si mantiene abbastanza ambiguo sulla sorte del protagonista. Non è chiaro infatti, o almeno non lo è per me, se il protagonista decida di suicidarsi, diventi matto del tutto o trovi la forza per ripartire e andare avanti. Concludendo: lo stile di Grandi momenti mi è piaciuto, la scrittura è ottima, ma manca ancora qualcosa.
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