Romanzo storico

Augustus

Williams John

Descrizione: Sono le Idi di marzo del 44 a.C. quando Gaio Ottavio, diciottenne gracile e malaticcio ma intelligente e ambizioso quanto basta, viene a sapere che suo zio, Giulio Cesare, è stato assassinato. Ottavio è l'erede designato, ma la sua scalata al potere sarà tutt'altro che lineare. John Williams ci racconta il principato di Ottaviano Augusto, i fasti e le ambizioni dell'Antica Roma attraverso un magistrale intreccio di lettere, atti, fatti storici e invenzioni letterarie. Molti sono i protagonisti e grande spazio è dedicato ai loro profili interiori, ai loro dissidi e alle loro debolezze: la libertà di Orazio, la saggezza di Marco Agrippa, la sensibilità di Mecenate, ma soprattutto l'inquietudine di Giulia, che accanto al padre è uno dei personaggi più importanti del romanzo.

Categoria: Romanzo storico

Editore: Fazi

Collana: Le strade

Anno: 2017

ISBN: 9788893251402

Recensito da Luigi Bianco

Le Vostre recensioni

John E. Williams, Augustus

Quando tornai dai miei amici, capii che qualcosa era cambiato, che non ero più lo stesso di un tempo: avevo compreso il mio destino, e con loro non potevo parlarne. Malgrado fossero i miei amici. Forse allora non sarei riuscito a dirlo con chiarezza, ma sapevo che un solo destino mi attendeva: quello di cambiare il mondo.”

Perché leggere la Letteratura? È una domanda diretta e pretenziosa, spesso formulata con disprezzo fra corridoi scolastici, o ancora affiorata alla mente e subito coperta da altri pensieri pratici e tangibili. Posta da qualche rivoluzionario intento a generarsi inimicizie fra i giovani, oppure mai davvero sentita, tanto da credere che non esista davvero una risposta, o quantomeno sia irrilevante. In realtà la questione, contrariamente al suo effettivo svolgimento, è semplice: la Letteratura è l’unica, fra tutte le discipline, che si occupa dell’uomo, dell’umanità nella sua interezza e complessità. Ed è un uomo il protagonista del romanzo di John E. Williams, uscito in una nuova traduzione di Stefano Tummolini per Fazi Editore. Un uomo celato da un’eco millenaria, spogliato del divino, che d’improvviso si è trovato a vivere una storia straordinaria: è Gaius Iulius Caesar Octavianus, detto l’Augustus.

44 a.C., marzo, un servo di Azia, barcollante e stremato, raggiunge il giovane Ottaviano diciottenne in ritiro ad Apollonia. Porta con sé una lettera da consegnare, che il giovane prende, “Srotola adagio; la legge, senza tradire alcuna emozione. […] Poi dice con voce spenta, inespressiva: «mio zio è morto, […] Giulio Cesare è morto»”. È il caos, Roma diviene ingestibile. Sentori di guerra civile si spargono immediatamente fra il popolo. È in quell’istante che Ottaviano comprende, con quei suoi occhi azzurri che diverranno “vitrei”, con l’animo in rivolta ma fermo e lucido, quale sarà il suo destino: “Cambiare il mondo”. La Storia si svolge in sottofondo: la ricerca dei cesaricidi, le inimicizie, il triumvirato, la battaglia di Azio, le cospirazioni, i matrimoni. Sono i protagonisti a parlare, a confidarsi, a incitare o a invocare prudenza; lo scambio epistolare, di cui è interamente composta l’opera, è fitto e continuo: Marco Tullio Cicerone si confida con Bruto, preoccupato per le sorti di Roma; Mecenate mostra tutta la sua lealtà e fedeltà al suo amico Ottaviano; Marco Antonio si rivolge con prudenza a Lepido, poi a Ottaviano e infine al suo grande amore, Cleopatra; Giulia scrive incessantemente le sue memorie in un diario, tristemente confinata a Pandataria; Livia, dura e calcolatrice, non smette di tessere incessantemente la sua tela. E ancora scorgiamo e leggiamo le parole di Orazio, Agrippa, Ovidio, Virgilio, Cassio, Bruto, Cleopatra, tutti intenti a predire le sorti dello Stato, preoccupati per Roma o per le proprie sorti, eccitati dal potere o supini agli eventi. Solo Ottaviano tace. Un lungo silenzio fatto di azioni, scrutato e descritto, invalicabile nella sua corazza, nel suo animo schermato, tradito forse solo dagli occhi cerulei e stanchi e da un animo che permane schivo pur mostrando, a più riprese, la sua grandezza. Fino a quando, in un viaggio via mare, piegato dall’insonnia e febbricitante, dedicherà una lunga lettera al suo unico amico rimasto, Nicola di Damasco. Sono i giorni compresi fra il 9 e l’11 agosto del 14 d.C.; Cesare detto l’Augusto, Ottaviano, o ancora Tavio come lo chiamava la sua nutrice, non scriverà più.

Accingersi a leggere un romanzo, specialmente se storico, implica sempre la ricerca di una risposta: qual è l’intento dell’autore? Ma soprattutto, cosa sta cercando di comunicare? Nel prologo di Augustus troviamo già un elemento fondamentale: “Se vi sono delle verità in quest’opera, esse appartengono alla finzione più che alla storia. E sarò grato a quei lettori che accoglieranno il libro per ciò che intende essere: un’opera d’immaginazione”. Leggere questo romanzo ricercando una continua fedeltà con la storia è, dunque, già di per sé un atto di tradimento nei confronti del testo e dell’autore. Le vicende, seppur macroscopicamente fedeli alla tradizione storiografica, sono intessute di storie, accadimenti, lettere, pensieri e riflessioni che provengono direttamente dall’immaginazione dell’autore. La struttura è quella di un romanzo epistolare, composto da frammenti, memorie, diari, epistole dei personaggi, protagonisti o figure di minor rilievo, del principato di Cesare Augusto. Ed è proprio quest’ultimo a non scrivere per tutto il corso del romanzo; così come da un blocco di marmo a poco a poco, colpo dopo colpo, compare la sagoma dell’opera finale, la sua figura è finemente scolpita da chi gli è attorno: dagli amici, la loro fedeltà e le loro insicurezze, come Agrippa, Mecenate, Orazio; dai nemici, aspri e cinici, come Lepido, Bruto, Marco Antonio; dalla figlia Giulia, spietata nel suo egoismo filiale; dalla moglie Livia, costantemente presente e pungente. Tutti concorrono a formare una personalità inquieta, turbata, indurita dal peso del mondo piombato di colpo, senza preavviso. La scrittura è chiara, semplice, a più riprese magnetica malgrado le poco più di 400 pagine. Un libro per tutti, insomma, piacevole e gustoso, che sa divertire e far riflettere. È solo con la lunga lettera finale affidata, questa volta e finalmente, a Ottaviano che emerge l’intento dell’autore: il personaggio, denudato di fronte alla fine, si rivela, si mostra, comprende che “presto o tardi, giunge il momento in cui egli prende coscienza […] della terribile realtà della sua condizione; del fatto che è solo, e separato dagli altri; e che non può che essere la misera creatura che è”. Un uomo misero dinnanzi a una vita trascorsa, sacrificato sull’altare dinnanzi agli dèi, dinnanzi al popolo. La consapevolezza, rassegnata e serena, che “Roma non è eterna: non importa. Roma cadrà: non importa”; un princeps muore e un uomo, finalmente, si libera.

Luigi Bianco

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