Poesia

Fiori estinti

Tarantino Mattia

Descrizione: L’opera seconda di Mattia Tarantino, Fiori estinti, ed. Terra d’Ulivi 2019, seguita a Tra l’angelo e la sillaba.

Categoria: Poesia

Editore: Terra d'Ulivi

Collana: Parole di cristallo

Anno: 2019

ISBN: 9788832006186

Recensito da Elpis Bruno

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I Fiori estinti di Mattia Tarantino evocano – sin dal titolo –  un simbolismo di nuova generazione (Fiorire – “Dolore di fiorire questo cardo/che collassa nella luce) nel quale trapassano la fatica del vivere (Il fiore stremato – “è primavera se dal sangue/spunta un fiore stremato”), il potere demiurgico della poesia (Il bambino – “Ho pronunciato la parola che fonda/i fiori, ho convertito/gli uccelli che annunciano l’inverno”) e i pericoli (Certi fiori – “Certi fiori sorgono a strapiombo”) di un’età contemporanea complicata e composita (Fiori estinti. Elegia all’Europa – certi versi sgozzano/le aquile, altri/marciscono i vessilli dell’Impero… Da lontano una Medea/araba conduce la sardana”).

Quelli estinti, o in via di estinzione, sono fiori allegorici che suggono essenza materialistica dalla decomposizione (L’orina del sorcio – “e tutto, in una luce infernale,/mi accolse alla vita e al dolore”) nella proiezione di altre immagini mitologiche e religiose (La terra del verme – “Allora donatemi/il cerchio e la croce”).

In tale fantasmatica cornice floreale, la poetica diventa autentica ricerca sperimentale: di segni (Epifania – “è il comando antico del grafema”), di costruzioni sintattiche (Pane, fuoco e profezia – “Ho memoria della sillaba mai/sigillata nel mio verso…. Risorgo da un gerundio predicato/come tempo primigenio, non conosco/che pane, fuoco e profezia”), di elementi costitutivi (In queste sillabe – “Tutto è strazio in queste sillabe/già morte, e tutto/affido alla distanza”), di significati criptati (La sillaba segreta – “Ho riposto altrove la sillaba/segreta dell’amore, e mai/che ne ricordi il grafema.//Donatemi la vostra voce,/poeti che ignoro! Donatemi/solamente una canto nuovissimo”), di ritmo infuocato (Nulla brucia – “infuriano le sillabe, si piegano/gli accenti, eppure/nulla brucia, nulla ustiona”) che si incanala in versi quasi liberi dalla metrica e che s’impenna nell’epilogo della silloge:

Distico

Cerco un distico che chiuda
I miei versi e li sbaragli.

La corrente sotterranea è quella del dolore: cosmico (Vorrei guardare il cielo – “Vorrei guardare il cielo, ma le stelle/le ho tra i denti e fanno male”), nominale (La violenza del verbo – “È il bosco che compone/nel mio dolore antico/e inviolabile la grazia… Invece indago la violenza/del verbo, il dolore/delle sillabe compiute”), perfin tradizionale in controluce al nihil sub sole novi (La legge del mondo – “ogni giorno il sole è nuovo e noi soffriamo”).

I topoi della poesia di Mattia Tarantino sono quelli classici: il bosco (Da un cielo ostinato – “vivremo nel bosco segreto/dove accade ogni cosa”), la luna (Nulla brucia – “vieni a offrirmi questa luna che rovina/e fa che con la bocca la circondi”), il firmamento. Classici sì rispetto alla tematica, ma spogliati dalla retorica della lirica e demistificati da intenti moralistici o catartici. Così la luna è in eclissi, il firmamento si tinge di tonalità cruente.

Eclissi

Quant’è breve il sangue della luna,
quest’ustione che ci chiama
all’ultima adunanza:

mi scoppiano le vene e sto cantando.

Il sangue e il firmamento

Domani gli angeli avranno
la bocca inchiodata tra il fallo
e la croce: un suono
osceno muterà la preghiera
in goduria e bestemmia.

Domani vedrò il vino colare
dalla prima vena all’ultima
e sempre più nera, spezzando
il sangue e il firmamento.

Tra i protagonisti, gli angeli hanno un profilo fanciullesco e dissacrato (Nell’età della pietra di mezzo – “Nell’età della pietra di mezzo/tenni stretto il prepuzio malato/dell’angelo… Tracciando il cerchio, la misura/di mia madre mancò l’altro/seme in cui v’è l’Idem… fui/orfano dell’altro, tanto/da recidere l’ultimo avverbio”).

La figura materna (Ho attraversato le tue vene – “per saltare/al di là delle vocali, dove il grido/fu patibolo alla madre”) – senza voler imboccare un’interpretazione psicanalitica sin troppo lineare rispetto alle asperità ermetiche e alle convessità concettuali della poesia di Mattia Tarantino – è ricorrente soprattutto nel lutto per l’estinzione del rapporto (Ora sommergi – “ricorda alla madre/quel canto lontano, perché/il fanciullo è orfanello, e mai/che abbia una voce”), nel rimpianto (Ancora mia madre – “quanto male può fare/una ninna nanna di troppo?”), nella memoria (Ancora l’autunno – “Mia madre/non ricorda i nomi dei fiori”) e nella genealogia (Mio nonno – “c’è qualcosa di sepolto/tra mio nonno e il mio cognome”). Nella figura materna si perfeziona la circolarità drammatica del simbolo floreale:

Mia madre

Legge di Ponente la discordia
verticale che fu taglio:

mia madre inghiotte cento fiori,
poi rimette dalle vene.

I Fiori estinti di Mattia Tarantino – come abbiamo cercato di rappresentare in questa sintesi che è soltanto una punta affiorante dal mare della poesia di una voce giovane, tonica ed efficace – sono dunque da cogliere tra ossessioni di grande attualità e nell’interpretazione di una mitologia personale e biblica che inquieta, turba e attrae in modo misterioso.

Bruno Elpis

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Leggi il commento di Mattia Tarantino a Cattivo sangue di Arthur Rimbaud cliccando su questo link

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