Raccolte

Gente di Dublino

Joyce James

Descrizione: Quindici storie che segnano l'esordio narrativo di James Joyce e compongono un mosaico unitario che rappresenta le tappe fondamentali della vita umana: l'infanzia, l'adolescenza, la maturità, la vecchiaia, la morte. In queste pagine Joyce ritrae oggettivamente il mondo della sua città natale, i pregi e i difetti della piccola borghesia dublinese, l'attaccamento alla tradizione cattolica, il sentimento nazionalistico, il decoro, la grettezza, le meschinità, i pregiudizi, osservati e descritti con mordente ironia e profondo senso poetico. Ogni storia, dove pare nulla succeda, rivela in realtà una complessità di sentimenti che smascherano, agli occhi e al cuore di Joyce, la vera anima di Dublino. Introduzione di Giorgio Melchiori.

Categoria: Raccolte

Editore: Einaudi

Collana: Tascabili Scrittori

Anno: 2012

ISBN: 9788806210380

Recensito da Diego Manzetti

Le Vostre recensioni

La storia editoriale di questo libro è stata lunga e travagliata. Prima di trovare un editore disposto a pubblicare l’opera, Joyce ha dovuto contattare decine di case editrici. Alcune di queste si erano dimostrate interessate, avanzando richieste però sul contenuto di alcuni racconti, che dal loro punto di vista dovevano essere cambiati. Altre invece avevano totalmente ignorato il valore di quanto gli era stato sottoposto. Tralasciando le difficoltà iniziali, come detto, finalmente nel 1914 la raccolta trovò un editore (Grant Richards) disposto a pubblicarla in lingua inglese, ma ci vorrà ancora molto tempo prima che il libro raggiunga il successo internazionale. In Italia, ad esempio, è stato pubblicato solo nel 1933, quasi vent’anni, quindi, dopo l’uscita dell’edizione originale.

In una lettera accompagnatoria del suo manoscritto del 1905, Joyce ha scritto

I do not think any writer has yet presented Dublin to the world. It has been a capital of Europe for a thousand years, it is supposed to be the second city of the British Empire and it is nearly three times as big as Venice. Moreover, on account of many circumstances which I cannot detail here, the expression Dubliner seems to me to bear some meaning and I doubt whether the same can be said for such words as “Londoner” or “Parisian”, both of which have been used by writers as title.

Non credo che alcuno scrittore abbia ancora fatto conoscere Dublino al mondo. E’ stata una capitale d’Europa per mille anni, dovrebbe essere la seconda città dell’Impero Britannico ed è circa tre volte più grande di Venezia. In aggiunta, sulla base di circostanze che non posso spiegare qui, l’espressione Dubliners (Gente di Dublino) mi sembra abbia un qualche significato, e dubito lo stesso possa essere detto per parole come Londoners (londinesi) o Parisians (parigini), che sono entrambe state utilizzate come titolo da scrittori.

Era grande la convinzione dell’autore che il mondo dovesse conoscere la sua città natale, per quanto egli stesso l’avesse abbandonata per molti anni essendosi trasferito all’estero. L’immagine che Joyce ci fornisce è quella di una città (o forse di una società) in crisi. Sempre nella medesima lettera all’editore Joyce cerca di convincerlo dell’interesse che il soggetto puo’ riscuotere nel pubblico: I think people might be willing to pay for the special odour of corruption which, I hope, floats over my stories (credo che le persone saranno disposte a pagare per l’odore di corruzione che, mi auguro, emerga dalle mie storie). Gente di Dublino non è un romanzo. Il libro si compone di 15 racconti popolati di personaggi sempre diversi, ma accomunati dalla presa di coscienza della propria realtà. Si tratta di una consapevolezza acquisita che i protagonisti di ciascun racconto raggiungono all’esito di un percorso personale. Questa presa di coscienza palesa una situazione con connotazioni negative. Sembra come emergere dalle pagine del libro un senso generale di insoddisfazione, paragonabile a quella che precede una grande svolta, un cambiamento memorabile.

In un’altra lettera del 1906, sempre allo stesso editore (che poi sarà quello che finirà per pubblicare l’opera), Joyce chiarisce il motivo per cui ha scelto Dublino per questo suo quadro dell’Irlanda: My intention was to write a chapter in the moral history of my country and I chose Dublin for the scene because that city seemed to me the centre of paralysis (La mia intenzione era quella di scrivere un capitolo nella storia morale della mia nazione ed ho scelto Dublino per questa scena perché questa città mi è sembrata essere il centro della paralisi). Joyce percepiva questa sensazione di stallo che aveva coinvolto la sua nazione di origine, cercando di descriverlo narrando storie di gente comune. La sua è una descrizione della società irlandese, un quadro dipinto con dovizia di dettagli di quello che la Dublino dell’epoca doveva sembrare. In questo quadro l’autore ha inserito i suoi personaggi. Sono personaggi non ricchi, ma tantomeno poveri, uomini e donne che nell’ottica dell’autore rappresentavano il popolo irlandese.

Joyce ha deciso di raccontarci queste storie secondo un particolare ordine. Nella medesima lettera del 1906, spiega all’autore: I have tried to present it to the indifferent public under four of its aspects: childhood, adolescence, maturity and public life. The stories are arranged in this order (ho provato a presentarlo ad un pubblico indifferente secondo i suoi quattro aspetti: fanciullezza, adolescenza, maturità e vita pubblica. Le storie sono organizzate secondo questo ordine). I racconti iniziali, narrati in prima persona, sono storie di bambini. Questi non sono ancora in grado di percepire pienamente la corruzione che li circonda, vivendo ancora in quell’innocenza che caratterizza la giovinezza. Anche i fanciulli, però, devono scontrarsi con la realtà. Nel secondo racconto (L’incontro), due compagni decidono di marinare la scuola. Nel corso del loro bighellonare per la città, finiscono in un campo dove incontrano un vecchio dall’aspetto bizzarro che inizia a parlare con loro in modo amichevole. Solo dopo alcuni minuti lo stesso vecchio, allontanatosi per un momento, torna completamente cambiato, iniziando a commentare con fare aggressivo il comportamento del ragazzo che nel frattempo si era allontanato per giocare. I ragazzi fuggono impauriti. Prendono coscienza della realtà e dei pericoli che questa presenta.

Nel descrivere la società irlandese l’autore si è basato sulle proprie esperienze. In una lettera al fratello del 1905, Joyce descrive con esattezza in quale periodo della sua vita ogni storia deve essere inquadrata: The order of the stories is as follows. The Sisters, An Encounter and another story [Araby] which are stories of my childhood: The Boarding House; After the Race and Eveline, which are stories of adolescence: The Clay [sic], Counterparts and A Painful Case, which are stories of mature life: Ivy Day in the Committee Room, A Mother and the last story of the book [Grace] which are stories of public life in Dublin. (L’ordine delle storie è il seguente. Le sorelle, Un incontro e un’altra storia (Arabia) che sono storie della mia fanciullezza: Pensione di famiglia; Dopo la corsa ed Eveline, che sono storie dell’adolescenza: La polvere, Rivalsa e Un caso pietoso, che sono storie della maturità: Il giorno dell’edera, Una madre e l’ultima storia [La grazia] che sono storie di vita pubblica di Dublino). La raccolta è composta anche di altri racconti, scritti però dopo la lettera al fratello. Tra questi, quello che più mi ha colpito è senza dubbio “I morti”, ultimo racconto scritto del 1907, nel quale l’autore descrive il trauma psicologico di un uomo (Gabriel) messo di fronte ad una realtà inaspettata. Nel corso di una cena organizzata presso delle amiche, Gabriel scopre la moglie (Greta) assorta in pensieri mentre veniva suonata una canzone. Una volta tornati a casa, Gabriel cerca di comprendere cosa avesse colpito Greta e lei gli racconta una storia della sua giovinezza. Da ragazza era solita passeggiare con un giovane di nome Michael. Quest’ultimo era particolarmente cagionevole di salute e avendo appreso che Greta avrebbe lasciato il paese, aveva affrontato il freddo pur essendo molto malato. Greta dovette comunque partire e Michael morì dopo pochi giorni. Proprio in occasione di quell’ultimo incontro, Michael aveva cantato a Greta quella canzone. Anche in questo racconto, Joyce ci narra la presa di coscienza di un fatto che turba l’animo del protagonista. Gabriel viveva di certezze. Soddisfatto della propria vita, non immaginava che nel cuore della moglie vi fosse spazio per questo amore giovanile mai dimenticato. Le interpretazioni date a questo racconto (ed agli altri) sono varie. Ve ne segnalo una particolarmente intrigante, che identifica l’ambientazione gotica di quest’ultimo racconto della raccolta. Secondo questa interpretazione vi sarebbero diversi elementi che permetterebbero di ritenere che i personaggi di questa storia fossero … dei fantasmi! (GULP!) Per conosca l’inglese, rinvio all’articolo in questione.

Non ho la presunzione, con questo mio articolo, di avervi spiegato Gente di Dublino. È stato già fatto da molti più competenti di me, che hanno scritto in lungo e in largo di questo libro. Ho voluto trasmettervi ciò che ritengo l’autore volesse comunicare e ciò che l’opera ha significato per me. Su questo punto, posso senza ombra di dubbio affermare che le storie di Joyce sono storie che il lettore sente vicine a sé. Alcune mi hanno provocato emozioni (come I morti e Un caso pietoso), altre un po’ meno. Prima di scrivere questo articolo ho letto una piccola parte di quanto è stato detto su questo libro. Leggere le descrizioni delle storie mi ha lasciato insoddisfatto. Nessuna sembrava riuscire ad esaurire veramente il contenuto dei racconti, sembravano scolastiche, infantili. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, mi sono reso conto del perché. Rileggete quanto ho scritto su I morti. Qual è la vostra reazione? La mia sarebbe: e allora? Tutto qui? Posso dirvi con certezza che le storie sono estremamente semplici, così semplici da essere quasi banali quando si raccontano. Nessuna descrizione, però, credo sia in grado di ricreare le emozioni che la lettura del testo provoca nel lettore. Non sto qui a dire che il libro è un capolavoro. A taluni può piacere e ad altri no. Seppur io non sia un appassionato di raccolte di racconti, posso dire che a me questa raccolta è piaciuta! Lascio a voi l’emozione di leggerla e di valutarla.

 

...

Leggi tutto

LEGGI COMMENTI ( Nessun commento )

Aggiungi un tuo commento

Scrivi la tua recensione

Devi effettuare il login per aggiungere un commento oppure registrati

James

Joyce

Libri dallo stesso autore

Intervista a Joyce James

È domenica pomeriggio 22 marzo 1981 e al Bar Marco tra i tavoli da carte e il rumore dei flipper riecheggiano le partite di calcio. Tutti seguono la radiocronaca e controllano la schedina. A Sanremo, a pochi passi dai lustrini luccicanti del Casinò, dall'aristocratica clientela degli hotel dell'Imperatrice e dagli splendori delle ville liberty, il Bar illumina un quartiere sorto rapidamente, senza anima apparente ma stracolmo di umanità parallele. Qui sui tavoli del biliardo si sfiorano senza incontrarsi, destini impegnati a sopravvivere alla vita e vite impegnate a sopravvivere ad un destino. Vite in movimento apparente, vacuamente oscillanti al caso come la pallina della roulette, e destini sfilacciati, duri da mordere, incatenati ad un filo di necessità. Destini appesi al bancone del Bar Marco, fra un bicchiere di troppo e una sigaretta mai spenta, in attesa del tredici che ne cambierà per sempre segno e direzione. Una vincita milionaria, il furto della schedina, un mistero da risolvere in un intreccio di emozioni e traiettorie. Un ingorgo di miserie, furbizie, espedienti e sudore che trova la sua perfezione provvisoria nella geometria euclidea del biliardo, nella esatta corrispondenza della sponda, nella fredda pazienza del ragno che tesse l'ineludibile disegno della tela. Una melodia distillata in infinite modulazioni fra tonalità maggiori e minori, scale ascendenti e discendenti, alla ricerca di una cifra armonica che riempia e sazi gli spazi dell'anima ruota intorno a Mario, il barista-investigatore dalla debordante umanità.

Un pastis al bar Marco

Fellegara Morena

Germania, ottobre 1938. Uno straniero passeggia tra i vicoli di una città di provincia. Sono da poco passate le nove di sera e la città è irrealmente deserta e silenziosa, si odono solo il fruscio di bandiere appese alle finestre, l’abbaiare di un cane che si confonde con l’eco di una voce di un uomo. Lo straniero siede ai piedi di un monumento, guarda il cielo, assapora la quiete e la serenità della notte. Non sa che la voce lontana è quella di Adolf Hitler che parla al suo popolo, non sa che da lì a poco tempo dalla Germania partirà l’offensiva che darà inizio alla Seconda guerra mondiale. In Germania, molti intellettuali e artisti sono fuoriusciti da anni, scegliendo o dovendo scegliere l’esilio come autodifesa. Una di loro vuole far capire che cosa sta succedendo, che cosa è già successo e soprattutto quello che ancora potrebbeessere fatto. Quando si spengono le luci, volume di racconti brevi scritti in presa diretta da Erika Mann in pochi mesi, è testimonianza e appello. L’autrice racconta di gente comune, non di eroi né di criminali al servizio del Terzo Reich: sono viaggiatori, medici, commercianti, contadini, professori universitari, operai, sacerdoti, giornalisti, madri di famiglia e marinai i protagonisti delle sue «storie vere». In un racconto, il professor Habermann conduce per mano i suoi allievi all’insubordinazione in pectore, durante una lezione, col solo ragionare correttamente di diritto in un’aula universitaria. In un altro, due giovani ragazzi innocenti, non certo avversi al regime, si suicidano per colpa della leggerezza incompetente di un medico nazista, in un contesto di ubbidienza cieca a cui loro per primi si sono volontariamente uniformati. Per i due giovani il processo post mortem si chiude con una vuota frase di circostanza e il rammarico che al Terzo Reich sia stata tolta «forza lavoro»: di certo un futuro fedele soldato e, con tutta probabilità, una buona fattrice di bambini. Nella postfazione «Un nuovo tipo di scrittrice», Agnese Grieco scende dietro le quinte dell’opera di Erika Mann, mettendo in luce la delicatezza illuminista e la misura perfetta con cui Quando sispengono le luci analizza la doppia natura faustiana dell’anima tedesca, per cercare di capire e affrontare il presente hitleriano e testimoniare, al tempo stesso, un’altra Germania.

Quando si spengono le luci

Mann Erika

Mia Martini racconta, in prima persona, la sua travagliata esistenza poche ore prima di morire. Quel letto di uno squallido appartamento di un piccolo paese della provincia di Varese dove cercava di fuggire dalle dicerie infamanti che la perseguitavano e da cui non si è mai più rialzata. Aldo Nove, con un linguaggio secco e poetico. ripercorre la vita di una grande e sempre più popolare artista, amata in tutto il mondo eppure odiata da uno star system che ne ha fatto un capro espiatorio.

Mi chiamo…

Nove Aldo

Un giallo-verità che l’autore racconta vent’anni dopo esserne venuto a conoscenza: questo è Il caso Piegari, coda imprevista di un vecchio libro che a suo tempo sollevò scandalo e indignazione, Mistero napoletano. Un omissis finalmente svelato? Proprio così, lungo soltanto sei brevi capitoli ma non meno drammatici e incalzanti di quelli relativi alla storia del suicidio di Francesca Spada. Raccontano la follia che colse il geniale fondatore del Gruppo Gramsci dopo la sua espulsione dal Partito comunista (1954) per volontà di Giorgio Amendola, accusato da Guido Piegari di essere l’ispiratore di un meridionalismo “perverso”. Una storia che sembra appartenere soltanto al passato e che in effetti si svolge in gran parte in un’Italia che non esiste più. Ma il presente, lo sappiamo, ha un cuore antico. Soprattutto in una città come Napoli dove il Gruppo Gramsci continua a sopravvivere, sia pure in forma traslata, attraverso l’Istituto italiano per gli studi filosofici fondato da Gerardo Marotta che fu, all’alba degli anni cinquanta, il braccio destro di Guido Piegari e magna pars del Gruppo stesso.

Il caso Piegari

Rea Ermanno