Letteratura tedesca

I dolori del giovane Werther

Goethe Johann Wolfgang

Descrizione: Uno dei più importanti romanzi d'amore della letteratura, in cui si ritrovano tutti i grandi problemi della lotta per lo sviluppo dell'individuo. Introduzione di Silvana De Lugnani. Testo tedesco a fronte.

Categoria: Letteratura tedesca

Editore: Rizzoli

Collana: Bur classici

Anno: 1995

ISBN: 9788817170062

Recensito da Elpis Bruno

Le Vostre recensioni

I dolori del giovane Werther  di Johann Wolfgang Goethe ovvero l’archetipo dell’amore infelice, vissuto in epoca pre-romantica.

Nel libro primo è di scena lo scatenarsi della passione, nel libro secondo l’allontanamento come tentativo per sedare gli effetti devastanti dell’amore. La forma epistolare dei due libri (le lettere, per lo più indirizzate all’amico Guglielmo, sono datate dal 4/5/1771 al 6/12/1772) cede poi il passo alla narrativa de “L’editore al lettore”, necessitata dall’epilogo che attende il giovane Werther in prossimità del Natale del 1772.

Werther ha abilità per il disegno (“Un giovane contadino uscì da un’abitazione vicina, e si mise ad aggiustar qualche cosa all’aratro di cui poco prima avevo fatto un disegno”), legge opere classiche, su tutte Omero, si trova nel pittoresco villaggio di Wahlheim (“Proprio innanzi al villaggio è una fontana, una fontana a cui sono incantato, come Melusina con le sue sorelle”), ove familiarizza con la comunità locale (“Avevo fatto conoscenza col podestà”). In una di queste occasioni (“Scesi dalla carrozza come un sonnambulo”), un ballo, conosce Charlotte e se ne innamora (“Non mi ero mai sentito così leggero, alato”), nonostante Lotte sia fidanzata con Albert.
Werther comincia a frequentare la casa di Lotte, sulla quale – dalla morte della madre – grava la responsabilità di numerosi fratelli e sorelle più piccoli. Il sentimento  (“Che brivido nelle vene… Io mi ritraggo come se fosse fuoco, ma una forza occulta mi sospinge di nuovo – e una vertigine mi rapisce i sensi”), alimentato dalla simpatia che Lotte manifesta, divampa e patisce con il ritorno di Albert. Un dialogo sul suicidio tra Albert e Werther evidenzia le differenze culturali e di temperamento tra i due (“È lo stesso che se uno dicesse: che pazzo, a morire di febbre!”).
Indimenticabile la scena finale del primo libro: si svolge  al chiaro di luna e prelude all’addio (“Non mi accade mai di passeggiare al chiaro di luna, mai! Senza che mi venga il pensiero dei miei morti, il sentimento della morte e dell’eternità… ma ci ritroveremo?”).

Werther tenta di allontanarsi dalla fonte delle sue pene di amante infelice e accetta l’offerta dell’amico Guglielmo di trasferirsi in città per intraprendere la carriera diplomatica. Il tentativo è vano e naufraga vistosamente in occasione di una festa nel corso della quale Werther non rispetta il protocollo imposto dalla bella società. Il ritorno al villaggio è triste: il giovane incontra un paesano reso folle da un amore non corrisposto, apprende di un delitto passionale, e soprattutto soffre del matrimonio intervenuto tra Albert e Charlotte. Le letture di Ossian sostituiscono Omero (“Ossian ha preso il mio cuore al posto di Omero”) e la preferenza letteraria corrisponde allo stato d’animo di Werther.
Come porre fine al dolore?
Con un espediente pratico (“Volevo arruolarmi per la guerra”) o con una scelta tragica?

Charlotte invita l’amico a contenere il sentimento (“Si moderi”) e a convertirlo, ma Werther è sempre più vittima della propria ossessione. Le mani amate offriranno all’infelice l’unico strumento  che può riconsegnargli la pace in un finale destinato a restare celebre nel tempo (“Era vestito di tutto punto, fino agli stivaletti, col frak azzurro, col gilè giallo”).

Riprendendo alcuni spunti classici di Saffo e Catullo (“A poco a poco tutti i miei sensi si esaltano, e gli occhi mi si ottenebrano, l’udito mi si confonde, e mi sento alla gola come se un assassino mi strangolasse, e allora il cuore, selvaggiamente pulsando, vorrebbe dar sollievo ai sensi oppressi e non riesce che ad accrescerne il tumulto”), il tema amoroso si arricchisce di nuovi impulsi, si esalta nelle corrispondenze con gli spettacoli della natura, si tonifica nella sofferenza (“Io temo, temo che sia proprio l’impossibilità di avermi, che dà tanto fascino al suo desiderio”), s’impenna negli interrogativi esistenziali (“Quel po’ d’intelligenza che uno può avere conta poco o niente quando la passione infuria e i limiti che non si possono trasgredire ci soffocano”)…

Bruno Elpis

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