Il secolo verde di Francesco Rutelli
Siamo a metà del cammino, il traguardo è ancora lontano e il tempo sta per scadere. Dobbiamo agire subito, se vogliamo che il secolo verde – iniziato nel 1970 con il primo Earth Day e destinato a concludersi cento anni dopo, quando l’India, il paese più popoloso del mondo, dovrebbe azzerare le proprie emissioni di anidride carbonica – non si tramuti in un secolo grigio, o addirittura nero. Ci sono profonde conseguenze del ritorno della guerra nel cuore dell’Europa anche per le politiche energetiche. La transizione ecologica è resa più complicata per l’aprirsi di nuove contrapposizioni geopolitiche. Intanto, ci rendiamo conto degli effetti dei cambiamenti climatici in atto; con eventi estremi sempre più frequenti; siccità prolungate; scioglimento dei ghiacci; migrazioni; carenze produttive e aumenti dei prezzi dell’energia e dei prodotti agricoli, con crescita delle povertà. Eppure, mai come oggi abbiamo a portata di mano strumenti tanto potenti ed efficaci per invertire la rotta, a patto che alla volontà politica dei governanti si unisca il consenso delle opinioni pubbliche, specialmente quando le scelte da compiere si mostrano impopolari. Perché ciò accada, scrive Francesco Rutelli, dobbiamo porci un grande obiettivo: approfittare della necessità di una rivoluzione green per realizzare la più ambiziosa e articolata politica occupazionale dell’età contemporanea, «approdando alla creazione di nuovi e buoni posti di lavoro “verdi”». Gli enormi passi avanti della ricerca (associati alle trasformazioni tecnologiche in corso) sostenuti dalla vivida sensibilità delle nuove generazioni ai temi ecologici possono imprimere una svolta decisiva a un rinnovamento che è ancora possibile. Ma sbrighiamoci, il tempo sta davvero per finire.
Il secolo verde. Per salvare il clima. Storia, propaganda e realtà di Francesco Rutelli esce oggi, martedì 28 marzo, per Solferino nella collana Ritagli, diretta da Massimo Franco (pp. 301, euro 18,50). Francesco Rutelli (Roma, 1954) fino al 2013 ha svolto funzioni politiche e istituzionali (deputato, eurodeputato, senatore; vicepresidente del Consiglio). È stato ministro dell’Ambiente nel 1993, sindaco di Roma (1993-2001) e dal 2006 al 2008 ministro per i Beni e le Attività culturali. Oggi è presidente dell’Anica (che rappresenta le industrie del cinema, audiovisivo e digitale) e coordina associazioni e iniziative di volontariato per l’ambiente, il patrimonio culturale e la formazione di giovani. Presiede l’Anica Academy e l’Institute of European Democrats. Rutelli presenta il libro mercoledì 29 marzo a Roma al Pio Sodalizio dei Piceni (piazza San Salvatore in Lauro; 17.30) con Francesco Galanzino e Aurelio Regina, modera Manuela Perrone
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Leggi l’articolo integrale intitolato Secolo verde o nero? Il bivio sul Corriere online a questo link
La dichiarazione in incipit («nulla al mondo è più importante che salvare l’umanità dal disastro climatico») nella sua evidente ovvietà è contraddetta dal ragionamento che segue subito dopo. Ovvero che quell’allarme, anzi quel facile slogan che sentiamo ripetere ogni giorno su tutti i media, non basta ad avviare il necessario, efficace meccanismo globale di politiche e soprattutto di consensi «per fermare e rovesciare la deriva che ci può portare verso + 3°C di temperatura media globale». In più il catastrofismo è inutile, anzi controproducente («il veloce processo di identificazione di vaccini contro il Covid-19 dimostra le capacità della ricerca e della scienza a fronte di problemi nuovi»). L’unica strada verso la salvezza, cioè per indirizzare il mondo verso una rotta giusta e affidarlo alla persona «senza volto tra i sedici e i trent’anni» a cui è dedicato il volume, è «saper creare un consenso solido, diffuso e durevole verso le politiche per il clima». E dunque «indicare con trasparenza, puntualità, efficacia comunicativa e vasto coinvolgimento popolare quanti e quali posti di lavoro verranno creati durante le transizioni climatica, energetica ed ecologica». Occorre una transizione non imposta dall’alto ma democraticamente e idealmente condivisa nel nome del comune futuro da salvaguardare.
L’ex giovane radicale Francesco Rutelli (anche ex coordinatore nazionale della Federazione dei Verdi ed ex ministro dell’Ambiente nel governo di Carlo Azeglio Ciampi) torna sul tema che ha sempre costituito l’interesse di fondo della sua vita politica con il libro Il secolo verde. Per salvare il clima. Storia, propaganda e realtà, edito da Solferino nella collana «Ritagli» diretta da Massimo Franco.
Il secolo verde, argomenta Rutelli, comincia nel 1970, ovvero con la prima Giornata della Terra, l’Earth Day, organizzata negli Stati Uniti, e dovrebbe finire nel 2070 l’anno in cui l’India «in base agli impegni assunti nel corso della Cop26 di Glasgow nel 2021, dovrebbe azzerare le proprie emissioni di CO2. Ovvero, sarà il terminale della riuscita, o dell’acclarato fallimento, delle strategie della comunità internazionale per vincere la sfida climatica». Dunque un arco di tempo in cui staremo in bilico tra la possibile seconda parte del secolo verde e il precipizio verso l’orrore di un secolo nero.
Rutelli offre una robusta e articolata quantità di fonti, cifre, analisi, ricostruzioni storiche. Un’autentica banca dati: niente ideologie e solo fatti. Qualche esempio nella selva dei numeri. La Cina è la maggiore nazione inquinante con il 31% delle emissioni globali ma negli Usa quelle stesse emissioni sono aumentate dell’1,3% nel 2022 allontanando gli impegni assunti nell’Accordo di Parigi 2015 sul clima. Colossali cambiamenti ci riguardano già. Un terzo dei ghiacciai considerati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco sono destinati a scomparire entro il 2050. Nell’estate 2022 la temperatura ha superato per la prima volta da sempre (quel «prima volta da sempre» è una cupa ricorrenza nelle recenti cronache ambientali) i 40° nel Regno Unito. In quanto all’Italia, sarebbero mille i casi da segnalare ma è giusto sottolineare, ripensando al caso Ischia, che ben 628.808 frane delle 750.000 dell’intero continente europeo sono italiane e che, per la siccità, il nostro Paese lascia disperdere il 40% delle risorse delle reti idriche.
Tante tessere di un mosaico. Eccone un’altra. Le energie rinnovabili in Italia? Sì, ma solo sulla carta perché, racconta Rutelli citando l’ex ministro Roberto Cingolani, il 70% dei progetti legati alle rinnovabili sono fermi a causa della burocrazia, la durata media di un iter autorizzativo nel nostro Paese è di sette anni contro una media europea di due anni. Pannello solare libero ovunque? No, certo. L’autore (qui si rivede l’ex ministro dei Beni culturali) sostiene che «i limiti paesaggistici devono essere legati all’intelligenza e alla conoscenza dei nostri territori». Anche perché «ci sono grandi possibilità di riempire di pannelli fotovoltaici i tetti delle aree industriali e artigianali e di quelle residenziali moderne». La stessa tesi, per intenderci, di Marco Magnifico, presidente del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano. Ma le scelte davvero incisive implicano coraggio: «Sì alla realizzazione di impianti tecnologicamente avanzati per il ciclo dei rifiuti; sì ai rigassificatori nella transizione; sì alla trasformazione produttiva di industrie ed ex impianti industriali per i più moderni utilizzi».
Insomma quel «futuro sostenibile», espressione coniata 35 anni fa proprio da Rutelli che qui ne rivendica la paternità, la fortuna mediatica ma soprattutto il valore, è possibile. La rotta c’è, senza puntare irrealisticamente su una decrescita difficile e impopolare per la massiccia disoccupazione che produrrebbe nel breve e medio termine. Spiega l’autore: l’Organizzazione internazionale del lavoro prevede un bisogno di 24 milioni di nuovi lavoratori ben formati per la transizione green entro il 2030. Altri 13 milioni nell’attuazione degli impegni internazionali nelle energie rinnovabili. Seguendo i motori di ricerca specializzati per le offerte di lavoro nell’ultimo triennio c’è stata una crescita del 400% delle posizioni legate alle fonti rinnovabili.
Per il caso Italia, Rutelli afferma persino che «la prospettiva può essere entusiasmante» in termini numerici di future occupazioni con una nuova politica industriale da realizzare. Ma a un patto: «Un ambientalismo di governo sa e può proporre e organizzare un programma coordinato per la produzione e l’installazione di pompe di calore e di elettrolizzatori, moltiplicare le batterie di accumulo per ogni impianto basato su fonti rinnovabili, pianificare programmi di efficienza di riscaldamento, illuminazione e acqua calda» e via indicando un possibile cammino che però esige «registi autorevoli, visionari, costanti e convincenti»…
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