Narrativa

Ma in seguito a rudi scontri

Culicchia Giuseppe

Descrizione: Torino, 2 aprile 1945. Ermanno Zazzi è un parà della Folgore pronto a partire per difendere gli ultimi avamposti fascisti. Prima ancora che nero, il suo cuore è granata. La visita del suo vecchio compagno di battaglie Hrubesch, Obersturmfuhrer delle SS, non potrebbe capitare in una giornata migliore: allo stadio Mussolini è in programma il derby. Una battaglia autentica, altro che rastrellamenti sulle montagne. I due amici assisteranno al derby più furioso della storia, con spari e risse sugli spalti, fin quando l’arbitro sospenderà la partita dopo 60, lunghissimi minuti: più che bastevoli allo Hrubesch per capire che, a prescindere da fascisti e comunisti, “il derby è il derby. E noi siamo del Toro”.

Categoria: Narrativa

Editore: Rizzoli

Collana:

Anno: 2014

ISBN: 9788817068680

Recensito da Elpis Bruno

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“Ma in seguito a rudi scontri”, Giuseppe Culicchia rimane vittima dei tafferugli dello stesso stadio che descrive nel romanzo. E vi spiego perché.

È il “1 aprile 1945… oggi poi che è Pasqua sembra di stare in una città fantasma”. A Torino, il fascista Ermanno Zazzi incontra il comandante delle SS, Franz Hrubesch: o meglio, quello che resta di lui in prossimità della fine della guerra. Il gerarca è mutilato (“E che ti è successo al braccio sinistro?”) e sofferente (“Dal giorno dell’amputazione, e anche dopo l’innesto di una protesi, i dolori lancinanti che prova…”). Ciononostante Ermanno Zazzi, volgare tifoso del Torino, lo conduce al derby, non prima di aver fatto tappa al lupanare (“la maîtresse mette a fuoco le rune argentate sul colletto del tedesco”), che vanta la presenza di Aida, angelo biondo veneziano. Ma l’ufficiale nazista è un uomo ormai distrutto dalle vicende personali e dalla prospettiva della sconfitta militare (“Oggi invece abbiamo sostituito la riva del Volga con quella dell’Oder”)… Morirà suicida a Berlino per non cadere prigioniero dell’Armata Rossa.

Tra sinistri simboli di arrogante potere (“la testa di morto che ghigna sul berretto”) e maschilismo roboante (“la moto BMW R75 con sidecar”), Ermanno Zazzi sfoga la sua natura violenta nell’odio calcistico (“Odio più l’altra squadra che i badogliani”), in uno stadio che si trasforma ben presto in un anfiteatro ove lo scontro duro si svolge sia in campo, sia sugli spalti.
La surreale visione (vorrebbe essere ironica? A parer mio non lo è affatto…) dei futuri eventi di uno sport incancrenito dalla corruzione non risolleva le sorti di un romanzo e di personaggi che si fanno detestare per quello che rappresentano.

L’autore voleva suscitare nausea attraverso l’identificazione della violenza politica e sportiva e mettendo alla berlina il qualunquismo? C’è riuscito ampiamente. Con un linguaggio rude, scurrile e fastidioso. Con buona pace della buona lettura…

Bruno Elpis

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