
Moravia, Omero, Joyce e Dante
Descrizione: Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento un poeta di origini greche, Costantinos Kavafis si fa portavoce della storia della città di Alessandria, del suo destino di straordinario sviluppo e inarrestabile decadenza. Con una voce malinconica, consapevole di qualcosa che è andato perso per sempre, Kavafis decide di raccogliere le sue poesie in un corpus collettivo, il suo "Canone": 154 componimenti brevi divisi in scritti filosofici, storici ed erotici. Se con le prime due sezioni, il poeta alessandrino si fa conoscere ed apprezzare per lo stile e per i memorabili ritratti di personaggi del passato, è con la terza che raggiunge una grande notorietà, per quanto prevalentemente postuma. La scabrosità esibita di alcuni testi, l'esplicita omosessualità, la ricercata inattualità e l'eccentrica solitudine dell'autore, gli hanno infatti valso critiche e difficoltà in vita, superate infine dal riconoscimento di una superiore purezza stilistica e sentimentale, distillata nella musicalità di componimenti di assoluta perfezione formale. Il Canone, proposto qui nella nuova traduzione di Massimo Scorsone, innalza Kavafis tra i più prestigiosi poeti del Novecento e mostra tutta l'originalità di una voce irrequieta, commovente e capace di parlare ancora oggi al nostro cuore.
Categoria: Poesia
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi tascabili. Poesia
Anno: 2015o
ISBN: 9788806214128
Recensito da Valeria Martino
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Moravia, Omero, Joyce e Dante
Già dato alle stampe nel 2017, D’argine al male è un thriller psicologico ambientato nell’estremo lembo del Delta ferrarese. Questo gotico padano racconta la follia. La morte. La redenzione. Protagonisti della vicenda sono Iolanda e Giovanni ‒ fratelli e nemici ‒, costretti a patteggiare per sopravvivere entrambi. Il teatro di tanti fantasmi è una casa nella golena, a pochi passi dal cimitero. E poi un giorno Iolanda trova una “bambola” e il passato violento torna a tormentarli.
D’argine al male
Conventi Gaia
Roma, fine anni Settanta: un quartiere appena nato che confina con l'inferno, il sogno della casa popolare che diventa subito incubo. Scilla ha quattro anni quando, sul volto di suo padre, vede disegnarsi la rabbia per la vita che li attende. Ma in un luogo dove ognuno ha un dolore a cui sopravvivere, in uno spazio di abbandono che contamina chi ci vive fino a distruggerlo, c'è anche Renata. Ed ecco che quello spazio si dischiude, poco a poco, e quei palazzoni fatiscenti diventano lo scenario in cui nasce e cresce un rapporto fatto di amicizia, desiderio e paura, un rifugio in cui Scilla e Renata si nascondono da una realtà dove nei vasi fioriscono le siringhe e il riscatto si porta sempre dietro la colpa. Perché dove non ci si può permettere di sognare, la vita corrode ogni legame, separa i destini, allontana le persone. Ma lascia, comunque, la speranza di potersi salvare.
Sangue sporco
Aragona Enrica
Quando, nel 1925, Virginia Woolf si accinse a scrivere Gita al Faro era decisamente giunta alla soglia della maturità artistica: in questa sua opera riuscì infatti mirabilmente a mostrare il suo sapiente dominio delle possibilità del monologo interiore e la straordinaria capacità di muoversi liberamente tra il flusso delle coscienze dei personaggi. Con tutta la sua avvolgente bellezza, questo romanzo è una commossa elegia all'Assenza: assenza innanzitutto della madre, morta quando la Woolf aveva solo tredici anni, lasciandole un vuoto incolmabile. Ed è proprio tale immagine cara a legare le diverse solitudini dei protagonisti di questa rievocazione corale, tutti chiusi in un proprio mondo isolato da cui è difficile comunicare. Fluido e ritmato come il mare sotto il raggio ora breve ora lungo del Faro che fende l' oscurità della notte, il romanzo si impone al lettore con la forza della memoria, il fascino del ricordo, la voce struggente della nostalgia.
Gita al faro
Woolf Virginia
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