Letteratura femminile

La lunga vita di Marianna Ucria

Maraini Dacia

Descrizione: Marianna appartiene a una nobile famiglia palermitana del Settecento. Il suo destino dovrebbe essere quello di una qualsiasi giovane nobildonna ma la sua condizione di sordomuta la rende diversa: "Il silenzio si era impadronito di lei come una malattia o forse una vocazione". Le si schiudono così saperi ignoti: Marianna impara l'alfabeto, legge e scrive perché questi sono gli unici strumenti di comunicazione col mondo. Sviluppa una sensibilità acuta che la spinge a riflettere sulla condizione umana, su quella femminile, sulle ingiustizie di cui i più deboli sono vittime e di cui lei stessa è stata vittima. Eppure Marianna compirà i gesti di ogni donna, gioirà e soffrirà, conoscerà la passione.

Categoria: Letteratura femminile

Editore: Rizzoli

Collana: Vintage

Anno: 1990

ISBN: 978-88-58-65311-7

Recensito da Valeria Martino

Le Vostre recensioni

La lunga vita di Marianna Ucrìa è un romanzo di Dacia Maraini pubblicato nel 1990 e che, nello stesso anno, vinse il Premio Campiello. Rientra a pieno titolo fra i romanzi che ogni buon lettore dovrebbe leggere, per la storia in sé, ma anche per gli spunti di riflessione che inevitabilmente suscita.

Scantu la ‘nsurdiu e scantu l’ avi a sanare”: la saggezza del conte Ucrìa si riferisce alla tenace convinzione di poter guarire la giovane e adorata figlia, Marianna, rimasta sordomuta a causa di uno spavento e, quindi, a dire del genitore, un secondo spavento (assistere a un’impiccagione!) avrebbe dovuto sanarla e renderla come le sue sorelle, normale.

Così si apre il romanzo e fin dalle prime pagine il lettore è immerso nel clima cupo e pieno di contraddizioni della Sicilia del Settecento. Mentre l’Europa partecipa alla rivoluzione del Secolo dei Lumi, a Palermo, in un tempo scandito da impiccagioni, autodafé, matrimoni d’interesse e monacazioni senza vocazione, si consuma la vicenda diella “piccola mutola”, Marianna.

Sposare, figliare, fare sposare le figlie, farle figliare, e fare in modo che le figlie sposate facciano figliare le loro figlie che a loro volta si sposino e figlino…”, è questo il motto della discendenza Ucrìa, che in questo modo è riuscita ad imparentarsi per via femminile con le più grandi famiglie palermitane. Marianna, costretta ad andare in sposa a soli tredici anni allo zio, investita “con rimproveri e proverbi” quando osa sottrarsi al suo ruolo di “mugghieri” (moglie), sembra all’inizio destinata alla medesima sorte. Lei, però, proprio da questa “mancanza” trarrà la forza per elevarsi al di sopra della chiusura e della meschinità che la circonda.

La donna, infatti, non è per nulla sconfortata dal non poter parlare o sentire ciò che il mondo le dice: ha affinato l’olfatto e la vista e riesce a “sentire” le azioni degli altri.

La sua vita, da copione, è segnata dalla numerose gravidanze “cinque figli vivi e tre morti prima di nascere”, il risultato di aver soddisfatto gli appetiti del signor marito zio, un uomo burbero e introverso, con il quale “otto volte si sono incontrati sotto le lenzuola senza baciarsi né accarezzarsi.”.
Sopravvivere diventa possibile per Marianna solo rifugiandosi in un mondo fantastico, la biblioteca, dove passa tutta la notte a leggere, di storie d’amore vere e di giorni vissuti, traendo linfa vitale da ogni pagina.

Lei, seduta sulla poltrona, immobile, sogna di viaggiare e di conoscere, desidera essere libera di essere, senza nessuno che possa dettarle legge, senza il giogo di un matrimonio che la opprime. Ha sacrificato il suo corpo alle gravidanze e ai piaceri del marito, ma la mente è ancora uno spazio infinito completamente suo.

La consolazione sono i bambini, che ama profondamente e segue nella crescita. Per costruire con loro un mondo di parole scritte, dove non esiste nessuno ad eccezione di loro sei, che respirano tutti la medesima aria e gli stessi sentimenti.

Ma anche questa atmosfera di ovattata pace viene invasa dal dolore. Il minore dei figli, il preferito perché nato prematuro, si ammala, si spegne tra le braccia della madre, incapace di aiutarlo, di consolarlo e di urlare il dolore per una perdita tanto amara.

Dopo anni, costretta in un matrimonio degradante, rimane vedova: Marianna è libera. I figli sono grandi e dopo essersi occupata delle terre (visto che i fratelli si sono rivelati due completi incapaci) decide di scoprire il mondo del quale aveva unicamente letto: conosce finalmente la giocosità della sessualità, senza remore, senza paure e decide di partire, risoluta a essere finalmente l’unica padrona della sua vita.

Marianna Ucrìa è senza dubbio da considerare una femminista anzitempo (ha osato togliere il lutto dopo neanche un anno dalla morte del marito!), libera dagli obblighi cui la società l’aveva costretta fin da bambina, privandola del piacere d’essere  se stessa, di potersi scoprire…

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Dacia

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