
Un bambino piangeva
Nove Aldo
Descrizione: La «società eccitata», estrema propaggine della «società dello spettacolo» di cui parlavano Guy Debord e i situazionisti, ha trasformato il sensazionale in regime di vita, oltre che in industria. La sovraesposizione agli stimoli, producendo assuefazione a ciò che impressiona, magnetizza e sconvolge, ha inciso profondamente sull’assetto antropologico, e la lingua ha registrato lo smottamento sociale: la sensazione, da fenomeno percettivo, si è intensificata, ed è ormai sinonimo di shock, emozione al limite del tollerabile. Proprio al «far sensazione», al fenomeno del sensazionale, è dedicato il saggio di Christoph Türcke, che tuttavia non si spinge a predicare l’astinenza mediatica, l’ascetismo emotivo. Il suo sguardo si volge piuttosto all’indietro, risale la modernità dal Rinascimento all’Illuminismo a oggi, per mostrare come la situazione odierna sia la conseguenza di una evoluzione secolare.
Categoria: Saggi
Editore: Bollati Boringhieri
Collana:
Anno: 2012
ISBN: 9788833915333
Recensito da Riccardo Melito
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Antonello Centanin, in arte Aldo Nove, ha trascorso tutte le estati, dall’infanzia alla prima adolescenza, in Sardegna, un’isola che nel suo immaginario poetico si è trasformata in una terra magica e misteriosa, popolata dalle presenze ancestrali di antichi isolani. Il racconto di Nove segue un doppio registro narrativo, realistico e fantastico allo stesso tempo. Da un lato il giovanissimo Antonello, bambino alla scoperta di una terra lontana e in parte sconosciuta, dall’altro il piccolo Sartàlo, giovane di una tribù indigena perennemente in lotta per la sopravvivenza. Una vicinanza curiosa e inaspettata legherà per sempre le esistenze fragili dei due protagonisti, separati dal tempo, ma non dal destino. Il nonno di Antonello e un vecchio Sikh, Giò, faranno da guida al piccolo. Un romanzo poetico ed evocativo, fantastico e almeno in parte autobiografico.
Un bambino piangeva
Nove Aldo
È la storia di due ragazze, Maria (che narra in prima persona) e Tsugumi. A diciannove anni Maria lascia il piccolo paese sul mare per trasferirsi a Tokyo e iscriversi all'università. Anni dopo, decide di tornare al paese per le vacanze, dove ritrova Tsugumi, l'eroina del romanzo, bellissima e dispotica ragazza. Tutti tentano di essere indulgenti con lei, sperando di renderle migliore la vita che le resta. Infatti le è stata diagnosticata dalla nascita una malattia incurabile. Terminate le vacanze, Maria sta per tornare a Tokyo ma le condizioni di Tsugumi peggiorano e pare non ci sia più niente da fare. All'ultimo momento Tsugumi si salva, sentendosi vicina alla morte però aveva scritto a Maria una lettera-testamento e con questa si chiude il romanzo.
TSUGUMI
Yoshimoto Banana
Pubblicato per la prima volta nel 1959, Una vita violenta venne giudicato dalla critica uno dei romanzi più importanti del dopoguerra. Lungi dal servire effetti coloriti e pittoreschi, il gergo fu utilizzato qui da Pasolini per dare una rappresentazione "lucida e spietata, delle persone e degli atti, dell'ambiente e delle fatalità" (Carlo Emilio Gadda) delle borgate romane. Il romanzo racconta la vera storia della vita breve, vissuta con passione, di Tommaso Puzilli, un giovane sottoproletario dei sobborghi romani. I piccoli furti, i rapporti con omosessuali, i vagabondaggi notturni, fino alla tragedia finale: il ritratto di un gruppo che vive al di fuori di ogni ordinamento sociale che lo possa condizionare. Con la prefazione di Vincenzo Cerami.
UNA VITA VIOLENTA
Pasolini Pier Paolo
Ferite d’oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un’antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l’ha vinta. Una donna che non dimentica il passato: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina. Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l’uomo si uccide. Delle bambine non c’è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l’amore che salda e che resta. Concita De Gregorio prende i fatti, semplici e terribili, ed entra nella voce della protagonista. Indagando a fondo una storia vera crea un congegno narrativo rapido, incalzante e pieno di sorprese. Scandisce l’esistenza di questa madre privata dei figli – qual è la parola per dirlo? – in lettere, messaggi, elenchi. Irina scrive alla nonna, al fratello, al giudice, alla maestra delle gemelle, abbozza ritratti, scava nei gesti, torna alle sue radici, trova infine un approdo. Dimenticare significa portare fuori dalla mente, ricordare è tenere nel cuore. Il bisogno di essere ancora felice, ripetuto a voce alta, una sfida contro le frasi fatte, contro i giudizi e i pregiudizi.
Mi sa che fuori è primavera
De Gregorio Concita
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