Letteratura femminile

L’AMANTE

Duras Marguerite

Descrizione: Il ritratto di una famiglia francese nell'Indocina degli anni trenta e una storia d'amore fra una adolescente francese e un uomo cinese.

Categoria: Letteratura femminile

Editore: Feltrinelli

Collana:

Anno: 1988

ISBN:

Recensito da Lucilla Parisi

Le Vostre recensioni

Il corpo di Hélène Lagonelle è pesante, ancora innocente, la morbidezza della pelle è quella di certi frutti, quasi al di là della percezione, illusoria, sconvolgente. Hélène Lagonelle fa venire voglia di ucciderla, fa balenare il sogno meraviglioso di darle la morte con le proprie mani. Porta inconsapevolmente quelle forme di fior di farina, le esibisce per mani che le impastino, per bocche che le mordano, senza trattenerle, senza conoscerle, senza conoscerne il favoloso potere. Vorrei mordere i seni di Hélène Lagonelle, come lui morde i miei, nella camera della città cinese dove ogni giorno vado ad approfondire la conoscenza di Dio. Esser divorata da quei suoi seni di fior di farina“.

Le parole di Marguerite Duras si spalmano sulla pagina come fossero cibo da gustare. Assaporare gli attimi di erotismo tra la ragazzina “bianca” di Saigon e il suo amante cinese è quasi inevitabile. Momenti rubati alla vita e consumati nell’intimità claustrofobica di una garconnière. In quel luogo di amore e perversione si prendono i loro corpi risucchiati dal desiderio disperante, per lasciarsi sfiniti e sanguinanti.

Fuori, il rumore della città è vicino, “si strofina contro il legno delle persiane. Sembra che la gente attraversi la stanza“. Oltre quelle persiane e quegli incontri clandestini, al di là dei loro corpi, ci sono due vite tanto distanti quanto egualmente infelici, dove l’indigenza imbarazza almeno quanto la ricchezza, dove il diverso colore della pelle invita a tenere le distanze. Due mondi che si incontrano ma non si confondono, in una società dove ciascuno occupa, dalla nascita, il proprio posto.

Di fronte ad un destino che procede ineluttabile verso la fine, i due amanti consumano il loro desiderio con lentezza, rispettando un rituale di gesti e silenzi, necessari ad ingannare il tempo della loro separazione.

Guardavo quel che faceva di me, come si serviva di me, non avevo mai pensato che si potesse farlo in quel modo,andava oltre le mie aspettative, assecondava il destino del mio corpo. Così ero diventata la sua bambina. Anche per lui ero diventata qualcosa di diverso“.

Non c’è spazio per sentimentalismi, per frasi d’amore o per promesse. Non c’è tempo neppure per la sofferenza, solo pianti vani, strozzati, rabbiosi.

Marguerite Duras tratteggia il suo passato come fosse un album di scatti sbiaditi, lontani. Alcune immagini suscitano nella scrittrice ricordi vivi e dolorosi, altre appaiono volutamente più sfumate, per la paura – sembra – di essere travolta dalla violenza di emozioni riposte, superate, dimenticate. Talvolta guarda dall’esterno quella ragazzina bianca, provando compassione e tenerezza per la sua umana fragilità, incapace – nonostante le apparenze – di affrontare con distacco il suo amante, fino a piangere di rabbia “all’idea di non poter cambiare la sorte“. Quando invece il ricordo si fa vivo, ritroviamo passi di un erotismo delicato e sapiente, come nelle descrizioni dei corpi dell’amante o della compagna Hélène o quando il piacere crescente dell’orgasmo diventa un “mare, sconfinato, semplicemente incomparabile“.

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