Classici

L’arte di insegnare a vedere l’invisibile, Calvino e il suo «poema d’amore»: Le città invisibili

Calvino Italo

Descrizione: Città reali scomposte e trasformate in chiave onirica, e città simboliche e surreali che diventano archetipi moderni in un testo narrativo che raggiunge i vertici della poeticità.

Categoria: Classici

Editore: Mondadori

Collana: Oscar tutte le opere di Italo Calvino

Anno: 1996

ISBN: 9788804425540

Recensito da Angelo Favaro

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Per comprendere l’impatto sulla cultura e sulla civiltà italiana di un volume quale Le città invisibili, scritto da Italo Calvino e pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 1972,  sarebbe stato necessario trovarsi a osservare la mostra organizzata dalla Triennale di Milano, svoltasi dal 5 novembre 2002 al 9 marzo 2003. Non solo arte della narrazione, frammento poetico, analisi semiotica e riflessione filosofica sulle teoresi logico-combinatorie e percettive, ma ben più è conservato nello scrigno de La città invisibili: una meditazione intermittente sulla vita umana nello spazio nel quale questa vita si svolge politicamente e affettivamente: la città. Lo spazio urbano indagato e osservato nel nontempo presente, passato, futuro da Calvino – sempre lucidamente e con la potenza di un immaginario inesauribile -.

Tutto dipende, sempre, dalle domande che facciamo e da come le poniamo, tutto dipende dalle risposte che riceviamo e da come siamo in grado di interpretare le parole dell’altro:
«“Viaggi per rivivere il tuo passato?” era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata cosí: “Viaggi per ritrovare il tuo futuro?”
E la risposta di Marco: “L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.”» (Città invisibili)

La struttura multiforme del poliedro è quella che, forse, più precisamente e nel modo più sfuggente riesce a offrire un’idea del volume, e Calvino stesso dichiarò di aver scritto esattamente: «un poliedro» . Perché, per lo scrittore ligure, quel che più conta è la fertile e vivificante possibilità della contaminazione, del superamento degli statuti disciplinari, delle dicotomie e degli sbarramenti fra conoscenze settoriali, muovendosi nella direzione dell’imprevista e entusiasmante ricerca transdisciplinare e ipertestuale. Non la semplificazione, bensì il riconoscimento della complessità consentono e acconsentono all’esperienza del reale e all’osservazione poliprospettica, da differenti punti di vista, focalizzando le ragioni di una crisi e di una difficoltà, che sono in primis di relazione interumana, di comunicazione e di espressione, e solo successivamente di coabitazione. Il viaggio rivela tutto questo. Così si scopre, viaggiando, incontrando l’alterità, che ci portiamo addosso tutto quel che siamo e quel che siamo stati, ci portiamo addosso anche quel che saremo: «Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.» (Città invisibili)

Ed è Calvino, in una lettera a Giulio Einaudi, a chiedere al suo interlocutore: «Caro […] Che cos’è che tiene insieme poliedri, supernovae e azimut?» e nella forma interrogativa a rivelarci il suo supremo interesse per quell’abbraccio vitale, oggi sempre più necessariamente invocato e auspicato, fra letteratura e scienza. E tuttavia questo romanzo-non romanzo, questa raccolta di città invisibili ma che sono ovunque, in noi e fuori di noi, questa silloge di racconti intimi e al contempo che si estendono nella politicità del nostro essere animali che non possono sopravvivere senza una comunità, non vuole ammonire, non vuole educare, non vuole configurarsi come testo in alcun modo pedagogico, è un’opera che offre soltanto un rizoma, un reticolo di percorsi nei quali ci si deve perdere percorrendo l’impero sconfinato del Catai con un Marco Polo, reso saggio dall’esperienza della scoperta e della diversità. Geometrizzando la struttura del volume, Calvino ipotizza e congettura la confusione e decreta il fallimento della ragione tassonomica.

L’interrogativo che accompagna il lettore nel corso delle scorribande nelle Città invisibili è sempre lo stesso: che cosa ci faccio qui? Ma qui dov’è? Quand’è?

«Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza.» (Città invisibili)

Non è fruttuoso, a mio avviso, ricostruire e reperire le corrispondenze fra città reali e storiche e città invisibili, ma osservando, di scorcio e dall’alto o dal basso, sembra che almeno un luogo “visibile”, fra molti, abbia ispirato significativamente le città calviniane: in un’intervista a Maria Corti poco prima di morire lo scrittore rivela: «Sanremo continua a saltar fuori nei miei libri, nei più vari scorci e prospettive, soprattutto vista dall’alto, ed è soprattutto presente in molte delle città invisibili».

Il volume è costruito in modo molto preciso: le città sono associate ad un elemento peculiare che la caratterizza. Si hanno, dunque, 11 tipologie di città, ripetuta ciascuna 5 volte: Le città e la memoriaLe città e il desiderioLe città e i segniLe città sottiliLe città e gli scambiLe città e gli occhiLe città e il nomeLe città e i mortiLe città e il cieloLe città continueLe città nascoste. Ognuna di queste città viene descritta accuratamente secondo la percezione della voce narrante, Marco Polo appunto, che in verità non narra se non per gesti, dal momento che il suo interlocutore Kublai Khan non conosce la sua lingua. 11 tipologie di città, divise per capitoli, aperti e chiusi dal dialogo – muto e per segni – fra Polo e il Khan. I 18 frammenti dialogici, in verità 9, se li si conta come cornici che aprono e chiudono le città, sono riconoscibili dall’uso tipografico del corsivo. Se si osserva con attenzione la disposizione delle parti nel volume si ha una scacchiera. Nel romanzo-non romanzo la comunicazione avviene silenziosamente spostando i pezzi da una tessera all’altra. Per una partita infinita.

È solo giocando questa partita, senza regole, se non quelle della sensibilità, della storia, della nostalgia e della vita, sì solo della vita, che si può entrare nelle Città invisibili e abitarvi lungamente.

Si comprende e si conosce per opposizioni, per confronti, per differenze, o per somiglianze e associazioni: «… più si perdeva in quartieri sconosciuti di città lontane, più capiva le altre città che aveva attraversato per giungere fin là, e ripercorreva le tappe dei suoi viaggi, e imparava a conoscere il porto da cui era salpato, e i luoghi familiari della sua giovinezza, e i dintorni di casa, e un campiello di Venezia dove correva da bambino.» (Città invisibili)

È necessario rileggere oggi queste Città invisibili, proprio in questo nostro momento storico, affidato alle immagini di città distrutte dalle guerre e immerse nella morte, e che non si potranno più ricostruire se non nella memoria, o che ci porta nei meandri di megalopoli continue e terribili, in questo nostro tempo che nutre desideri e che si affida agli scambi sotterranei e nascosti, occulti, perché abbiamo bisogno tutti di un po’ di poesia, di abitare poeticamente queste nostre città straziate, come anime infernali o alle prese con la catarsi di un purgatorio che non spera e aspira al paradiso.

Risultati immagini per progetto per una casa delle guardie campestri

La mia copia, ormai logora e cimelio inservibile (ho acquistato per tempo l’edizione dei Meridiani con tutti i romanzi e racconti di Calvino), di questo libro riproduce in copertina l’immagine del progetto per una casa delle guardie campestri, del 1790 circa, di Claude-Nicolas Ledoux, uno degli architetti della scuola d’Architettura in Rue de la Harpe a Parigi, importantissima per la nascita dell’Architettura Rivoluzionaria: mi ha sempre colpito e affascinato questa illecita sovrapposizione concettuale fra il testo e il significato delle Città invisibili (definito fra l’altro – impropriamente dalla casa editrice – romanzo fantastico) e un elemento paratestuale, come l’immagine di copertina, raffigurante un edificio progettato in un momento storico e politico fra utopia e rivoluzione, lontanissimo spazialmente e temporalmente da Marco Polo e dall’impero del Khan. Ho anche un’altra copia del volume che invece attraverso la copertina vuole mettere in evidenza il carattere surreale del testo: il Castello dei Pirenei del 1959 di René Magritte.

Non ho mai confessato questa mia “debolezza” e oggi, per la prima volta, confido che questo è il libro più importante della mia vita: un romanzo-non romanzo, un volume alla ricerca del genere letterario perduto, un’opera senza la quale non avrei mai compreso quel che ho compreso. E fortunatamente dimenticato, per poter tornare a sfogliare e cercare fra quelle pagine ancora e ancora.

Nel 1973, sul “Tempo” del 28 gennaio, Pasolini scrive una importante recensione a Le città invisibili, ove afferma che ognuna delle descrizioni di queste città è «la descrizione di una anomalia tra mondo delle Idee e Realtà (che è poi il destino della civiltà occidentale)» (In P.P. Pasolini, Italo Calvino, «Le città invisibili», in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, I Meridiani Mondadori, Milano 1999). Nella sintesi concettuale pasoliniana, resiste il significato più profondo di questo romanzo-non romanzo: un’anomalia conflittuale insanabile e al contempo irresistibile fra Idea e Realtà, che poi si potrebbe anche esprimere suggerendo il limite dell’aspetto empirico e fenomenico rispetto all’illimitato ideale. Quel che si esprime in un poema d’amore: aveva concluso Pasolini richiamando i lettori a considerare che Calvino «si concentra su un’impressione reale – uno dei tanti choc intollerabili che meriggi o crepuscoli, mezze stagioni o canicole ci causano negli angoli più impensati o più famigliari delle città note o ignote in cui viviamo – e, pur sentendolo in tutta la sua qualità di sogno, lo analizza: i pezzi separati, smontati, di tale analisi, vengono riprogettati nel vuoto o nel silenzio cosmico in cui la fantasia ricostruisce, appunto, i sogni. È appunto sempre dunque, una “base” di sensibilità reale che fornisce materia per i “vertici” poetici e ideologici di Calvino». E il romanziere a New York nel 1983, durante una conferenza, afferma, probabilmente avendo in mente ancora la recensione di Pasolini: «Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città».

Angelo Favaro

Risultati immagini per Castello dei Pirenei

Magritte, Il castello dei Pirenei

Ad Italo Calvino è intitolato il premio letterario omonimo.

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