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«Delle cose del mare – che amiamo più del nostro mondo – ci sei maestra, orca. Nel mare, a cui ti sei adattata nel corso di decine di milioni di anni, hai imparato a vivere, amare, giocare, combattere. Anche a predare, forse come nessun altro essere abbia mai predato. Ma anche a morire, perché malgrado la tua potenza nemmeno tu sai sfuggire alla morte. Vederti morire è per noi straziante, e vorremmo che tu non morissi mai, per confortarci nel pensiero che nessun cambiamento – nemmeno quello del mondo di cui l’uomo è colpevole – possa scalfire la tua sconvolgente bellezza». Con queste parole Giuseppe Notarbartolo di Sciara, biologo marino, fondatore dell’Istituto Tethys e ideatore del Santuario Pelagos , introduce Lasciami andare (Il Battello a Vapore, 2o23), il nuovo libro di Claudia Fachinetti* , che sarà presentato il 14 novembre alle 18 alla Feltrinelli di Genova e il 18 novembre alle 16 all’Acquario di Milano. Giornalista e scrittrice, l’autrice ha seguito l’avvistamento di un gruppo di orche nel mare di Genova, il primo dicembre del 2019. Un evento eccezionale raccontato in queste pagine attraverso gli occhi di Alaska, una giovane di 14 anni con una grande passione per i cetacei che decide di partire da Milano per vederle di persona. Un viaggio che la avvicina al sogno di diventare una ricercatrice, e la avvicina alla mamma che le ha trasmesso l’amore per le orche e che ora è in coma. «Amo raccontare le storie vere di animali e la vicenda delle orche di Genova è davvero unica. Essendomi laureata in Scienza Naturali con una tesi sui cetacei e avendo collaborato come ricercatrice con l’Istituto Tethys, la storia di queste orche – da sempre il mio animale preferito – mi ha particolarmente catturata e l’ho seguita da vicino», racconta al Corriere della Sera Fachinetti, ricordando quelle giornate ricche di emozioni, speranza e paura per quegli animali così maestosi, ma al tempo stesso fragili, che nuotavano smarriti in un mare sconosciuto. «Le cose che mi appassionano di più delle orche in generale — prosegue — sono gli strettissimi legami sociali e la loro capacità di adattamento all’ambiente esterno con lo sviluppo di tecniche e strategie di caccia uniche, specifiche e studiate per ogni luogo, a seconda dell’abbondanza delle prede. In questo caso caratteristiche portate all’estremo».
I quattro adulti di orca avvistati a Genova, infatti, stavano prendendosi cura di un cucciolo in difficoltà, poi deceduto. Come notato dagli esperti, la madre lo aveva sostenuto a lungo in superficie per cercare di farlo respirare e tenerlo a galla, prima di lasciarlo, una volta morto. «Mi sono appassionata — prosegue — alla storia di questa famiglia rimasta accanto alla matriarca e al piccolo sempre più in difficoltà. E anche allo smarrimento del pod (gruppo familiare), dopo un viaggio che è scoperto essere stato lunghissimo. Questi animali avevano nuotato per oltre 5.200 chilometri e alla fine si erano “smarriti”. Erano in un mare sconosciuto dove cavarsela non era poi così semplice. Questo mi ha fatto empatizzare ancora di più con le orche, arrivando a seguire con trepidazione e angoscia gli sviluppi della loro storia». Certo, non è stato facile conciliare la scrittura di una storia dedicata ai ragazzi e gli approfondimenti scientifici (inseriti nel testo come fossero fogli di appunti, ndr): «Il romanzo si rivolge a un pubblico più grandino, rispetto ai testi precedenti. Un pubblico curioso e avido di notizie e approfondimenti scientifici. Per questo — chiarisce Fachinetti — ho deciso di spezzare il racconto alternandolo con questi box divulgativi di approfondimento. Solo conoscendo qualcosa lo si può amare davvero e solo amandolo si può impegnarsi per proteggerlo, mettendo in atto comportamenti più sostenibili. L’intento — evidenzia — era infatti quello di a vvicinare i ragazzi al mondo marino attraverso una storia vera, facendo desiderare loro di approfondire e impegnarsi per la tutela del mondo marino. Il linguaggio, inoltre, semplice ma emozionale – almeno così volevo che fosse – vuole coinvolgere un pubblico di ragazzi e adulti, ma anche quello di bambini affiancati dai genitori».
Chi legge queste pagine non ha difficoltà nel cogliere una certa somiglianza tra Alaska, la protagonista, e l’autrice: «Sì, mi somiglia molto. Anche io alla sua età ho vissuto una grande difficoltà con la perdita di mio padre e se da un lato dovevo elaborare questo dolore, dall’altro non sopportavo di sentirmi diversa dagli altri, compatita o giudicata. Volevo trovare la mia strada: lottavo con tutte le mie forze per seguire i miei sogni anche se la vita aveva deciso di mettermi davanti degli ostacoli», racconta, sottolineando come, anche per gli adulti, «accettare le difficoltà è la cosa più difficile, ma non c’è altra strada se non affrontarle, attraversarle e uscirne, sicuramente feriti, cambiati ma anche più forti e determinati». Una storia iniziata come una favola, quella delle orche che non hanno lasciato Genova dimostrando lo straordinario amore di una madre, che «ci conferma che gli animali sono esseri senzienti capaci di provare sentimenti profondi: amore per i figli, fratellanza, empatia e anche amicizia. Quello che è successo a Genova non è un caso unico. Già altre orche e altri cetacei sono stati osservati trasportare i corpi di cuccioli morti, così come fanno anche le scimmie e gli elefanti. La storia più nota è quella dell’orca Tahlequah in Canada che, in evidente stato di dolore, ha trasportato con sé il corpo della sua neonata morta per ben 17 giorni prima di rassegnarsi alla perdita, sempre affiancata dalla famiglia. Per mammiferi come orche, elefanti e scimmie l’investimento parentale verso un solo piccolo è altissimo a cominciare dalla gestazione lunghissima (18 mesi nel caso dell’orca) e la perdita di un piccolo può rappresentare una minaccia per la popolazione».
E se tra i grandi cetacei l’orca è quella considerata tra i più pericolosi, anche a causa di Hollywood, questo libro aiuta (anche) a cambiare questa convinzione: «Credo— evidenzia l’autrice — che la brutta fama o la paura che genera l’orca dipenda principalmente dall’errore nella traduzione del suo nome inglese “killer whale” che in italiano è diventato “balena assassina”. In realtà l’orca innanzitutto non è una balena ma un delfino (la specie più grande della famiglia) e il vero significato che volevano darle era “mangiatrice di balene”. Le orche, infatti, possono predare anche grandi mammiferi marini come balenottere e capodogli. L’uscita del film “L’orca assassina” ha sicuramente peggiorato le cose. Tuttavia, non esistono casi al mondo di attacchi a persone da parte delle orche che non si sono mai interessate a noi come fonte di cibo. Gli unici incidenti, che si contano sulle dita di una mano, sono accaduti in vasca, con orche in cattività in stato di sofferenza fisica e psicologica. Ma che le orche siano tra gli animali meno adatti a vivere rinchiusi era chiaro fin dall’inizio». Una percezione che Blackfisk e Free Willy un amico da salvare hanno contribuito a modificare. Con questo libro «voglio mostrare ancora di più la vita delle orche, superare la barriera del “grande predatore” che può fare paura, proprio come accade per il lupo, e mettere in luce la loro intelligenza e l’intensità dei loro legami».
Malgrado le orche siano distribuite in tutti gli oceani in diverse aree «la riduzione delle prede sta mettendo a rischio il futuro di alcune popolazioni, come quella canadese che si è sensibilmente ridotta. Cambiamenti climatici e attività umane hanno in generale un peso enorme nella riduzione delle prede o sulla loro distribuzione. Per quanto concerne le orche di Genova non si hanno certezze che i cambiamenti climatici abbiamo influito sul loro arrivo e sul loro stato di salute. Alcuni scienziati hanno ipotizzato che l’aumento delle temperature abbia tratto in inganno le orche spingendole nella direzione sbagliata, altri che le orche si siano spostate proprio per cercare cibo, diminuito nella loro area d’origine, oppure ancora che inquinamento e cambiamenti climatici siano responsabili della morte del cucciolo. Ma sono solo ipotesi. Senza aver potuto analizzare i corpi dei cetacei è impossibile avere certezze», conclude Fachinetti. Le orche non hanno predatori naturali e gli unici pericoli per questi animali possono essere rappresentati «dalla mancanza di prede, dall’inquinamento con conseguente accumulo nel loro corpo di sostanze tossiche, dall’inquinamento acustico che disturba le conversazioni sottomarine dei cetacei in generale e quindi le loro relazioni sociali o influisce sulla capacità di utilizzare il biosonar (un mare troppo rumoroso rende difficile sentire i suoni di prede e pericoli) e dalle collisioni con imbarcazioni. La cattività per le orche sarà sempre meno un problema, contrariamente a quanto accade ancora per delfini più piccoli, perché gli stessi delfinari hanno per lo più interrotto la riproduzione in cattività e la sostituzione delle orche decedute con altre nuove» (qui la storia di «Lolita», liberata dopo 50 anni vissuti in cattività a Miami).
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Claudia Fachinetti ha studiato per diventare biologa marina ma, dopo la laurea, ha iniziato a scrivere di natura e animali ed è diventata giornalista. Ha collaborato per molte riviste di divulgazione scientifica e ha pubblicato alcuni libri per ragazzi e romanzi tra cui «Ninna il piccolo riccio con un grande cuore», con il veterinario Massimo Vacchetta (2019), e «Vito il gatto bionico» (2020). Si occupa di comunicazione e di editoria per ragazzi/e.
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