Narrativa

Le case dai tetti rossi

Moscé Alessandro

Descrizione: In occasione della vendita della casa dei nonni, Alessandro torna ai tetti rossi, ovvero la grande struttura dell'ex ospedale psichiatrico di Ancona, complesso inaugurato a inizi Novecento e riconvertito dopo la Legge Basaglia del 1978. Il distacco dalla casa dell'infanzia diventa per lui la soglia di un viaggio nel tempo, nei ricordi di quando ragazzino gironzolava intorno ai cancelli per vedere gli internati, di quando Ancona e le Marche tutte confinavano tra quelle mura chi non aveva retto alla Seconda guerra mondiale. A dare una svolta alla gestione dell'ospedale, sulla falsariga di Basaglia, Alessandro ricorda il dottor Lazzari. Il racconto poetico e illuminante di un pezzo di storia del Novecento spesso dimenticato, una riflessione sulla follia, l'integrazione e la libertà.

Categoria: Narrativa

Editore: Fandango Libri

Collana:

Anno: 2022

ISBN: 9788860448262

Recensito da Elpis Bruno

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Le case dai tetti rossi di Alessandro Moscè (Fandango, 2022)

Le case dai tetti rossi: così viene familiarmente designato il manicomio di Ancona (“Il manicomio di Ancona era una piccola città con centinaia di ospiti. I tetti rossi, del colore del sangue, accoglievano i barboni, i malnutriti, chi era tornato dalla guerra frastornato… chi aveva una deformazione fisica e chi era figlio di genitori strani… con il diavolo in corpo”), che ricorre nella memoria di Alessandro Moscè e in qualche modo scatena la sua fantasia di bambino che d’estate e a Natale soggiornava dai nonni, nella loro abitazione in prossimità della struttura ospedaliera.

Il pungolo della memoria (“Nonna Altera… non poteva immaginare che suo nipote giocasse a pallone in manicomio con il figlio di Arduino. Mi avrebbe punito.”) e della curiosità hanno indotto Moscè a scrivere questo libro, una bella sintesi tra il saggio e il romanzo (“Mi hanno recapitato un diario giornaliero che teneva Arduino, il giardiniere… Prendo confidenza con lo spazio scenico e da un alone giallastro emerge sempre più nitidamente un mondo inabissato”), che ripercorre la vita del personale che lavora nella struttura e dei pazienti anche attraverso l’evoluzione della scienza neuropsichiatrica anteriore alla legge Basaglia.

Tra il personale spicca un binomio speciale: il professor Lazzari e il giardiniere Arduino.
«Siamo i dioscuri del manicomio, giardiniere.»
«Perdoni la mia ignoranza…»
«Due che si completano a vicenda»
«Può contare su di me.»

Il professore incarna l’umanesimo della razionalità (“In manicomio si ammirava il professore, l’uomo dal grande carisma, che non provava compassione per i pazienti e non esprimeva mai giudizi avventati”), mentre Arduino è dotato di straordinaria conoscenza botanica (“Arduino, la sua manualità è una pepita d’oro puro”) e vanta altrettante doti nel relazionarsi con i pazienti (“Arduino… ha sempre considerato i malati dei sopravvissuti alla sventura. Non ha mai accettato il loro istinto peggiore e pensava che avessero bisogno di attenzioni, di amore”).

Grazie all’illuminata guida del primario (“Ci siamo chiusi in un bozzolo. Ora dobbiamo aprirlo. Dall’involucro deve uscire la novità”), nel corso degli anni Sessanta e Settanta descritti da Moscè, le pratiche disumane dell’elettroshock (“Ma è proprio necessario bruciare il cervello?”) e della cella d’isolamento (“Le pareti… Arduino le levigò… Dallo spioncino i medici si accertavano che il malcapitato respirasse, finché quella prigione venne chiusa per sempre e la pratica dell’isolamento abolita”) vengono superate in direzione di una prassi basata sull’analisi psicologica, sull’inclusione (“La separazione dalla famiglia era una condizione peggiorativa per la maggior parte dei degenti”) e sulla valorizzazione delle caratteristiche personali del malato (“Nazzareno, l’amuleto vivente… amava i clown… sperava di entrare in un circo… Non vedeva nulla dalla finestra, eppure sperava che la Madonna gli facesse la grazia di apparire”).

In questa evoluzione, affiorano le storie dei pazienti che compongono un mosaico di sofferenza (“Franca… temeva che i nazisti potessero prelevarla per condurla in un campo di concentramento. Cancellava le svastiche dopo averle disegnate sui muri del manicomio… Non riusciva a superare le barriere di un’ideologia sanguinolenta, di un male storico”), patologie (“Il degente di Osimo… Qui si tratta di sindrome dell’abbandono e di depressione reattiva”), originalità (“Sebastiano, l’uomo-giraffa… diceva che di notte lo rincorrevano i colori…”), abilità, pulsioni e desideri che possono liberamente dispiegarsi anche grazie al mutato contesto scientifico, culturale e sociale.

Con l’approvazione della Legge Basaglia (“Franco Basaglia… La psichiatria chimica lascia il posto alla psichiatria relazionale”) si giunge alle soglie degli anni Ottanta: il manicomio si è trasformato in un ambiente pulito, perfino profumato e gradevole, dove c’è spazio per la creatività artistica, sia essa plastica (“Il manicomio, ormai per tutti l’ospedale neuropsichiatrico della Provincia di Ancona, si regalò la sua costruzione artistica che stupì le istituzioni”) e letteraria: in questo contesto sbocciano le storie d’amore tra Giordano e Adelaide, tra Carlo (detto Sandokan) e Franca (la perla di Labuan). Si delineano tuttavia alcune paure per il futuro (“Il giardiniere, di notte, si svegliava e pensava che avrebbe perso il lavoro, che lo avrebbero licenziato”) e una sorta di sindrome di Stoccolma nei pazienti che si sono affezionati al manicomio ormai divenuto un ambiente protettivo (“Professore, la scongiuro, non mi mandi via. Io qui sto bene…”).

L’opera è piacevolmente complessa e interessante e denota la straordinaria sensibilità di Alessandro Moscè, così protesa tra l’analisi psicologica dei personaggi e la lirica dei ricordi che trovano spazio nei paragrafi intitolati “inframezzi”, in una sintesi poetica che tuttavia non trascura la descrizione di particolari crudi, nonché gli impulsi dei malati, come avremo modo di approfondire nell’intervista all’autore che presto pubblicheremo sulle pagine web di www.i-libri.com

Bruno Elpis

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