Poesia

Le poesie

Rosselli Amelia

Descrizione: Questo volume raccoglie tutte le maggiori opere poetiche "italiane" di Amelia Rosselli: le opere giovanili in italiano, inglese e francese di "Primi scritti" (1980, ma risalenti al periodo tra il 1952 e il 1963); il poemetto "La libellula" (1959); le raccolte "Variazioni belliche" (1963), "Serie ospedaliera" (1969) e "Documento" (1976); il poemetto "Impromptu" (1981). Completano il volume alcuni testi tratti da "Appunti sparsi e persi" e a suo tempo inseriti nell'"Antologia poetica" pubblicata nel 1987.

Categoria: Poesia

Editore: Garzanti

Collana: Gli elefanti

Anno: 1997

ISBN: 9788811669241

Recensito da Eleonora Tirelli

Le Vostre recensioni

Amelia Rosselli nasce a Parigi nel 1930. Suo padre è Carlo Rosselli, esule in Francia e fondatore, insieme al fratello Nello, del noto gruppo di Resistenza antifascista Giustizia e Libertà. La madre è invece Marion Cave, nata in Inghilterra e attivista del partito laburista britannico. Nel 1940, tre anni dopo l’assassinio del padre e dello zio a opera di sicari fascisti, inizia per Amelia e la famiglia un lungo periodo di peregrinazioni forzate: la Svizzera, quindi l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Dopo una parentesi italiana nel 1946, la Rosselli torna in Inghilterra dove porta a compimento gli studi musicali dapprima intrapresi senza regolarità. Dal 1948 Amelia è di nuovo in Italia: inizia a lavorare come traduttrice dall’inglese per alcune case editrici, si dedica a studi letterari e filosofici, pubblica alcuni scritti su riviste letterarie ed entra in contatto con l’ambiente intellettuale romano (in particolare con quanti avrebbero poi fondato il Gruppo 63, dai quali però la Rosselli si distacca rapidamente). A partire dagli anni Sessanta inizia a pubblicare le sue raccolte di poesie in Italia. Tuttavia, i lutti famigliari (in particolare l’assassinio del padre) e altri dispiaceri, la turbano al punto di soffrire di esaurimenti nervosi e depressioni. Si suicida nella sua casa di Roma l’11 febbraio 1996.

Questo volume include: le opere giovanili di Amelia, scritte tra il 1952 e il 1963 in italiano, inglese e francese (Primi scritti); il poemetto La libellula.(Panegirico della Libertà), composto nel 1958; le maggiori raccolte italiane, elaborate tra il 1959 e il 1973 (Variazioni belliche, Serie ospedaliera, Documento); il saggio Spazi metrici, allegato alla prima edizione di Variazioni belliche (Garzanti, 1964); alcune poesie selezionate dalla raccolta Appunti sparsi e persi (versi composti tra il 1966 e il 1977); l’estratto Nota da Diario ottuso (1954-1968); il poemetto Impromptu (pubblicato nel 1981).

La poesia di Amelia Rosselli rappresenta un unicum nel secondo ‘900 italiano. Innanzitutto «questa specie di apolide», come ebbe a definirla Pier Paolo Pasolini, trasferì nei versi la propria «triplice coscienza linguistica, culturale e letteraria» (cito dalla Prefazione di Giovanni Giudici). Inglese, francese e italiano confluiscono dunque in una lingua poetica del tutto nuova e che efficacemente Giudici definisce «sismica e magmatica». La parola appare sempre in bilico, in movimento, pronta a scivolare, a sbandare o a traboccare in altri vocaboli che minimamente la suggeriscano. Paronomasia, allitterazione e gioco di parole creano continue e inaspettate sfumature di suono e di significato che escludono programmaticamente interpretazioni univoche. È bene qui sottolineare come l’aspetto “sonoro” della poesia di Amelia, la metrica e la prosodia – e si ricordino gli studi musicali condotti dalla Rosselli –, rappresenti una dimensione imprescindibile della sua opera: il ritmo governa i versi anche laddove questi sembrerebbero sconfinare nella prosa. «Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho in realtà mai scisso le due discipline, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono» (Spazi metrici, p. 337). Se poesia è in primo luogo arte del fare (ποιείν), bene lo dimostra la lingua poetica di Amelia, dove non di rado può accadere che «il cosa-vuol-dire appa[ia] assai meno importante del dire-in-sé» (G. Giudici). Per quanto riguarda poi i contenuti, sempre seguendo la Prefazione a questo volume, si possono individuare nella poesia di Amelia: una componente esistenziale (quasi una vocazione confessionale) e una dimensione letteraria e visionaria. Nel primo caso, nonostante l’esperienza privata (in particolare: un radicato quanto turbato sentire religioso e la convivenza con la nevrosi) informi di sé i versi, ciò accade tramite una voce senza nome e dai toni ora manifestamente profani (non privi di una autentica tensione erotica), ora apertamente scritturali e mistici. È una voce che spesso dice io e dice tu, ma che riesce comunque a renderci tutti compartecipi: ci investe, ci scuote. In merito ai modelli letterari, invece, gli autori prediletti (Campana e Montale su tutti), sono spesso chiamati in causa tramite riferimenti o citazioni esplicite.

 Amelia Rosselli riesce quindi a forgiare una poesia («assoluta» l’ha definita Giudici) fatta di ritmi, di suoni, di deragliamenti semantici, di cortocircuiti lessicali, di lapsus (se intesi come ripetizione del significante laddove assume differenti significati). Di fronte a un linguaggio così inconsueto – di fronte alla «feconda “infermità” che è la febbre dei suoi libri», Giudici –, verrà fatto di pensare all’equivoco, all’errore… ma a ben ascoltare, l’inesattezza, la sbavatura, la sbrodolatura del linguaggio pare sempre creativa, originale, figlia di un’urgenza comunicativa (talvolta disperata) che non può non esser colta. E forse è proprio l’impossibilità di spiegare e di spiegarsi fino in fondo quella parola poetica tanto insolita che riesce ad ammaliare il lettore: l’incomprensione genera fascinazione e si resta lì, incantati, storditi, straniati davanti a un linguaggio nuovo, energetico, magmatico, denso. La stessa Rosselli appare consapevole della complessità della propria parola poetica e ce ne dà ragione nel saggio Spazi metrici (pp. 337-342):

io mi misi ad un certo punto della mia adolescenza a cercare le forme universali. Per trovare queste cercai da prima il mio (occidentale e razionale) elemento organizzativo minimo nello scrivere. E questo risultava chiaramente essere la «lettera», sonora o no, timbrica o no, grafica o formale, simbolica e funzionale insieme. […] Per una classificazione non grafica o formale era necessario, nel cercare i fondi della forma poetica, parlare invece della sillaba, intesa […] come particella ritmica. Salendo su per questa materia ancora insignificante, incorrevo nella parola intera, intesa come definizione e senso, idea, pozzo della comunicazione. […] Io […] consideravo perfino «il» e «la» e «come» come «idee» […]. Premettevo che il discorso intero indicasse il pensiero stesso, e cioè che la frase […] fosse una idea divenuta un poco più complessa e maneggiabile, e che il periodo fosse l’esposizione logica di una idea non statica come quella materializzatasi nella parola, ma piuttosto dinamica e «in divenire» e spesso anche inconscia.

Musica, ritmo, suono, contaminazione delle lingue, ricerca di sempre nuovi sensi da comunicare: forma e significato sono elementi altrettanto imprescindibili e altrettanto curati nel fare poetico di Amelia Rosselli, della quale ormai non resta che ascoltare la voce:

[…]. Ma se dalla tua vacuità

non esce alcun amore, io non resto, allargate

le braccia al sole, allargate le tue braccia

senza amore. Abbracciata io l’avea in un abbraccio

senza amore, in una notte senza fondo, senza

fondo d’amore. Ed io ti chiamo ti chiamo ti chiamo

sirena, ci sono solo. E tu suoni e risuoni e

risuoni e risuoni o chimera. E perciò io ti chiamo

e ti chiamo e ti chiamo chimera. E io ti chiamo e ti chiamo

e ti chiamo sirena.

[…]

                           da La libellula. (Panegirico della libertà)

L’automa che disfaceva le giornate era la pallida

ombra che temeva e pregava e sosteneva di non esser

degna; il cielo rompeva il suo isolamento e tutto

cadeva nel panforte del nulla. Ma io esplodevo

fuori della scabra pelle tenace e croccante ma

io rompevo fuori della luna della noia. E ne

seguiva una tenace invettiva a tutti i tramvieri

del mondo; non calate così presto le vostre trombe

d’orgoglio!

                                                (da Variazioni belliche)

Ti vendo i miei fornelli, poi li sgraffi

e ti siedi impreparato sulla scrivania

se ti vendo il leggiero giogo della

mia inferma mente, meno roba ho, più

contenta sono. Disfatta dalla pioggia

e dai dolori incommensurabile mestruazione

senilità che s’avvicina, petrolifera

immaginazione.

                                                (da Serie ospedaliera)

L’immaginazione torturata si tormentava

gli idilli nascevano e si tramutavano

in fantascientifico dubbio o nausea

e l’amore era un gioco di scacchi.

Il fantasma che regnava nella casa vuota

il fiero dedicarsi ai combattimenti

tutto prendeva una piega imprevista

se il dolor di capo ricominciava.

È nel voler dar fiducia e nel dover

toglierla, il perpetuo scacco della

regina: non ha fiducia, né può darla

mentre i lustrascarpe s’industriano.

Gli alberi assassini s’accovacciano,

foglie libere e deliberate hanno conti

aperti col vento; e l’ira della regina

si tramuta in angoscia col vento!

Il vento stesso si tramuta in libidine

col vento!

                                        (da Documento)

...

Leggi tutto

LEGGI COMMENTI ( Nessun commento )

Aggiungi un tuo commento

Scrivi la tua recensione

Devi effettuare il login per aggiungere un commento oppure registrati

Amelia

Rosselli

Libri dallo stesso autore

Intervista a Rosselli Amelia

Si incontreranno per tre volte, ma ogni volta sarà l’unica, e la prima, e l’ultima. Tre storie. Tre incontri. Tre episodi in cui scivolano personaggi che si incrociano, per sfasature temporali, in età diverse, sullo sfondo della hall di un hotel. L’albeggiare che annuncia, per tre volte, l’insistenza di un sentimento.

TRE VOLTE ALL’ALBA

Baricco Alessandro

In "Roma per sempre" Marco Proietti Mancini riesce a far viaggiare i lettori attraverso tre dimensioni: lo spazio, il tempo e le emozioni. Nelle storie che racconta c'è una descrizione dei luoghi, dei posti e degli spostamenti, c'è il viaggio nel tempo che riporta indietro dai primi ricordi di vita fino ai giorni nostri e ci si immerge pienamente nelle sensazioni. Le emozioni prettamente romane che in quei posti, in quel tempo, i protagonisti delle storie di Marco hanno vissuto. L'autore ci accompagna, ci descrive, ci rivela i particolari, i dettagli, i segreti che Roma ancora nasconde: e noi viaggiamo insieme a lui per le strade e i vicoli di questa metropoli, corridoi di teatro che sfociano nella platea delle piazze, dove la rappresentazione della vita esplode. Ma lo spettacolo vero è dietro le quinte, dove i protagonisti veri sono i popolani, la gente normale che Roma la vive nella quotidianità dei suoi giorni. Un libro che può essere considerato allo stesso tempo un romanzo e una guida emozionale per conoscere ancora meglio la metropoli più bella del mondo.

Roma per sempre

Proietti Mancini Marco

Come ogni anno, un «padre che è anche un nonno» va in Svezia a curare i suoi interessi e visitare la famiglia che ha abbandonato. Il padre ha cultura e tradizioni che si scontrano con la «svedesità» dei figli. E il suo atteggiamento borioso non facilita di certo i rapporti. Un tacito accordo vincola il figlio a occuparsi di lui a ogni penoso ritorno. Ora che a sua volta ha dei figli, un lavoro che odia e una vita da cui vuole fuggire, forse in fondo non sopporta di vedersi riflesso nel padre. Anche sua sorella è già madre e incinta di un altro bambino che non è sicura di voler tenere: la sorte del feto sarà affidata a una singola connessione telefonica. Ma dieci giorni possono influenzare in modo inatteso le dinamiche di una famiglia tormentata dai fantasmi del passato e dai non detti del presente. Se per questi buffi personaggi, che potrebbero essere scappati dal set di un film di Wes Anderson, esiste una possibilità di riscatto, può venire solo dall’innocenza e dalla freschezza delle nuove generazioni.

La clausola del padre

Khemiri Jonas Hassen

Può una vendetta realizzarsi nell’arco di un’intera esistenza? Amélie Nothomb torna con una storia d’amore nero in cui tocca le corde più intime del desiderio, là dove è difficile distinguere l’amore dal suo riflesso malato, e dove vincere o perdere diventano l’unica ragione per cui vale la pena vivere. Il 12 settembre 1970 Dominique conosce Claude sulla terrazza di un caffè a Brest, e non sa ancora che la sua vita sta per cambiare per sempre. Il destino ha fatto incontrare due persone dai nomi epiceni, maschili e femminili insieme. Lui la seduce con un bicchiere di champagne, un flacone di Chanel n° 5 e la promessa di trasferirsi a Parigi. La nascita della figlia tanto desiderata, Epicène, suscita tuttavia in Claude un incomprensibile disinteresse che, col passare degli anni, spinge la ragazza a odiare il padre e a desiderare di ucciderlo…

I nomi epiceni

Nothomb Amélie