Cosmo idiota: Le stimmate di Philip K. Dick
E’ l’inizio dei favolosi anni ’60. Il mondo è spazzato da un vento di rinnovamento che sembra non conoscere barriere. L’aria che spira profuma di buoni sentimenti, patchouli, voglia di sperimentare e mettersi in gioco, per poter scampare alle griglie imposte dalla società. Sta germinando quello che sboccerà nella summer of love e terminerà nella violenza degli anni ‘70.
Philip Kindred Dick vive con la moglie Anne e le figlie nella placida contea di Marin, una tranquilla zona rurale. Per sostenere la famiglia, scrive come un forzato e s’imbottisce di pillole con una particolare e funzionale predilezione per le anfetamine. In soli due anni (1963/64) compone ben dodici romanzi, senza contare i racconti brevi e le bozze. Là nella contea quei venti di rivoluzione arrivano solo come refoli, ma la mente dello scrittore americano non ha certo bisogno di stimoli. Nella sua testa piena di universi e mondi incredibili, così simili al nostro e contemporaneamente così alieni, alcuni temi ricorrono. Da sempre Phil si è lambiccato il macinino con domande sul senso della realtà e sulla sua inafferrabilità. È forse a causa delle sue riflessioni esistenziali unite agli effetti delle sostanze che assume, che un oscuro giorno della seconda metà del 1963 alzando gli occhi al cielo ha la visione di un volto malvagio che lo scruta inquisitore.
La figura lo accompagna per giorni facendo capolino fino a sfumare, ma il suo impatto su Phil sarà eterno. In quel momento Philip Dick ha incontrato l’altro lato della realtà, quello esoterico, quello riservato solo a chi decide di squarciare l’illusione di Maya, quel giorno ha incontrato Palmer Eldritch. Per tutto l’anno e per i primi mesi del seguente si cimenta in quello che sarà considerato uno dei suoi lavori più riusciti, una pietra miliare per la letteratura del Novecento, inestimabile per il genere fantascientifico.
La Terra è ridotta a un forno a microonde, la vita sulla superficie è praticamente impossibile e la sovrappopolazione impone delle migrazioni forzate verso Marte, dove le condizioni sono ancor peggiori. Sul pianeta rosso i coloni, per sfuggire alla disperazione imperante, si dilettano giocando con la serie di bambole Perky Pat (una sorta di Barbie). Niente di speciale sin qui, anzi piuttosto infantile come passatempo, se non fosse che le bambole e i loro accessori, uniti all’assunzione di Can-D, una droga illegale, possono permettere una traslazione: tutti i partecipanti maschili diventano Walt e tutte quelle femminili Perky Pat, inoltre più oggetti si hanno della serie e maggiori saranno il realismo e la varietà dell’esperienza allucinatoria.
La situazione è già abbastanza oscura senza che intervenga Palmer Eldritch che, di ritorno sulla Terra dopo un’assenza decennale, intende immettere sul mercato un nuovo prodotto capace di sbaragliare qualsiasi concorrenza. Lo slogan promozionale è abbastanza chiarificatore: “Dio promette la vita eterna. Noi possiamo metterla in commercio”. Mentre si scatenano guerre di marketing e si moltiplicano le allucinazioni, una subdola invasione aliena si compie. L’epilogo lascia il lettore esattamente al punto dove era stato prelevato, bisogna fare però molta attenzione perché, come spesso accade nelle opere del visionario scrittore, il contesto sembra lo stesso, ma è invece radicalmente mutato.
Ciò che rende Le tre stimmate di Palmer Eldritch un’opera miliare è la sua struttura geologica, psichedelica: ad ogni piano di lettura se ne apre subito un altro e si viene trascinati in un susseguirsi di matrioske, perdendo l’orientamento e finendo per provare quell’eldritch che dà il nome al personaggio – in inglese infatti il termine sta per “perturbante, straniante, disturbante”. Dal piano della dissertazione teologica, si passa a questioni filosofiche ontologiche, da queste alla critica sociale, per proseguire con una disamina delle implicazioni riguardanti l’uso di droghe e le teorie gnostiche, la sacralità della merce come unico tema religioso della società allo sbando. L’elenco potrebbe continuare in eterno e al moltiplicarsi delle sfaccettature le certezze diminuiscono esponenzialmente.
Le tre stimmate di Palmer Eldritch si mostra così, in tutta la sua grandezza, come una visione del mondo a venire, il nostro, quello che stiamo vivendo. Non è un caso che si svolga all’inizio del ventunesimo secolo, come a dire che quello che Dick descrive non sia frutto di finzione, ma di una visione lucida e premonitrice. Lo stesso sguardo non si limita ad essere premonitore, si unisce invece ad una descrizione splendente della struttura più intima, immanente e basilare del reale, ritratto delle possibilità infinite insite nella realtà e del loro constante ridursi a una singola specifica determinazione, che si smentisce a sua volta all’istante, contenendo al suo interno la molteplicità. Quello di Dick è uno sguardo che riesce ad abbracciare contemporaneamente l’opera magna, rappresentata dai grandi quesiti sulla realtà, e l’opera minuta, formata dall’insieme di tutti gli accidenti quotidiani.
La nuova edizione di Fanucci, curata e introdotta da Carlo Pagetti, per la collana Collezione Ventesima, comprende un’interessante postfazione di Giuseppe Di Costanzo ed una nuova traduzione. Non sono grossi cambiamenti, ma rendono una nuova interpretazione di questo stupendo e straniante caleidoscopio cangiante. Dopo aver letto questo libro saprete come un uomo possa partire per un viaggio e tornare come un dio.
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