“A Bangkok il tramonto è color zafferano, e il fiume dà un senso di pace. I monaci scendono al molo di Wang Lang coi loro ombrelli e i loro rosari..”. Questa è la descrizione che viene presentata al lettore della città di Bangkok, unica assoluta protagonista di questo libro di Lawrence Osborne dal titolo omonimo. La metropoli e capitale della Thailandia appare subito, fin dalle prime pagine, per quello che è: una città sterminata, polivalente e dalle mille contraddizioni, in cui la millenaria tradizione orientale risulta irrimediabilmente contaminata dal capitalismo occidentale. Una città con uno skyline che nulla ha da invidiare a New York, in cui i canali che affiancano i numerosi templi buddhisti e lungo le cui sponde si condensa l’attività commerciale dei venditori di “Street food” lasciano progressivamente spazio ai centri commerciali, alle catene alberghiere extra lusso, ai cocktails bar, che si sono progressivamente stratificati nel tessuto urbano.
Osborne, in questo libro che non è certamente un romanzo ma nemmeno una guida turistica “tout court”, riesce a raccontare e ben rappresentare agli occhi del lettore occidentale, una città che trasmette un senso di forte spaesamento a causa della sua vertiginosa crescita e versatilità. E lo riesce a fare grazie alla conoscenza acquisita nel corso degli anni in questa metropoli che è diventata la sua dimora adottiva, nella quale ha deciso di risiedere stabilmente fuggendo dal mondo occidentalizzato da cui proviene, quasi come a volere trovare una nuova identità. Bangkok è la città indolente, ma allo stesso tempo discreta, che accoglie europei, americani, asiatici che si sono smarriti e che desiderano ricominciare da capo. Rappresenta un mondo che attrae e che progressivamente affascina lo straniero, in cui il desiderio di restare viene mascherato da futili motivazioni, da mancanza di alternative. E’ per tale ragione che verso la fine del libro, ad un amico che gli chiede un po’ incredulo “Perché sei ancora qui ?”, Osborne risponde candidamente dicendo “Non so dove altro andare”. Dove si potrebbe trovare infatti un’altra città semplicemente definita “la capitale del piacere”, nella quale esiste il ristorante “No mani” dove il cliente viene imboccato da affascinanti ragazze, oppure una città che offre infilate di locali notturni, senza soluzione di continuità, nei quali perdersi tra fumo, alcol e facili relazioni intessute con individui del proprio o altrui sesso?
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