Un classico è un libro che, per le tematiche che affronta, è da considerarsi sempre attuale. Ecco che questi Dialoghi di profughi rientrano pienamente nella categoria: si tratta di un libro scritto nel 1940, durante il Secondo Conflitto Mondiale, che Bertolt Brecht è riuscito a rendere così realistico, tanto da ben calzare anche ai giorni nostri nel periodo storico che stiamo vivendo.
Brecht, emblema del profugo in fuga dalla Germania nazista, costruisce un meccanismo narrativo in cui due protagonisti, anch’essi ovviamente profughi tedeschi, dialogano incessantemente, seduti al tavolino di un bar di Helsinki in Finlandia, e toccano diversi aspetti aventi a che fare con la spietatezza della guerra, le contraddizioni del capitalismo, l’organizzazione dei regimi fascisti in generale (“Il pezzo grosso è il Fuhrer o il Duce, ma a questo gli ci vuole pur sempre qualcuno da comandare. Loro sono grandi, ma qualcuno deve pur pagarne le spese se no non va”). La figura del profugo, che osserva dall’esterno la propria condizione e quella del proprio Paese, rappresenta lo snodo per raccontare la precarietà umana in tempo di guerra e, al tempo stesso, assume i contorni di una voce obiettiva fuori dal coro, che può permettersi il lusso di parlare liberamente: “I più acuti dialettici sono i profughi. Essi sono tali appunto a causa di determinati cambiamenti, e quindi non fanno altro che studiare i cambiamenti”.
I dialoghi diventano quindi un’occasione di confronto, di scambio di opinioni tra gli unici due personaggi: Brecht si avvale sapientemente del sarcasmo che lo contraddistingue, già a partire dall’epiteto che viene affibbiato a Hitler, un “comediavolosichiama” che ha l’evidente obiettivo di presa in giro del Fuhrer. Quello che emerge inevitabilmente dal libro è il messaggio che i pretesti spesso ridicoli, comunicati dai regimi al popolo per giustificare le motivazioni che stanno alla base di un conflitto, assurgono ad affermazioni universalmente valide in quanto “Le ragioni più nobili che si accampano per le guerre moderne vengono bevute volentieri proprio perché quelle vere, che ci si potrebbe eventualmente immaginare, sono troppo schifose”. Solo così infatti si riescono a creare i presupposti per ottenere il consenso popolare, combinando alla propaganda l’uso della forza e del controllo interno (“Senza una forte polizia e un costante controllo non puoi fare di nessun popolo una razza di signori: qualcuno ti sfuggirà sempre di mano. Per fortuna qui lo Stato è in grado di esercitare una certa pressione”).
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