La bellezza dell’asino
La bellezza dell’asino e altri racconti: così s’intitola la raccolta di racconti a sfondo erotico di Pia Pera (ndr: Pia Pera e Rocco Carbone sono i due scrittori ai quali è dedicata l’opera di Emanuele Trevi intitolata Due vite, premio Strega 2021 – clicca qui per leggere il nostro commento).
Apre la raccolta il Diario di un ragazzo perbene: innamorato di Sofia, il protagonista del racconto, grazie all’amata, fa la conoscenza dell’ebrea Rimma, una ragazza grezza nell’aspetto e nell’abbigliamento, sempre impegnata in traslochi. Con lei il giovane, quasi suo malgrado, si addentra in un’esperienza carnale nella quale si intrecciano appetiti oscuri e ripulsa (“Mi sono venute in mente le teorie del Maestro sull’erotismo del brutto e sull’emozione di trovarsi perduti in un mare di carne”) che devono fare i conti con la possibilità di un’indesiderata gravidanza e con la necessità di un’astuta strategia di uscita.
Nella sua Lettera a Titti la liceale Cucsia – che sta preparando un esame di riparazione ed è alle prese con le intemperanze dell’amato Leoncino – s’incapriccia di Oscar (“Come gli uomini di Crepax”): lo insegue in moto, finge di essere una prostituta (“Ma lo fai di professione?”) con nome d’arte (“Io mi chiamo Luana”) per abbandonarsi al sesso sfrenato (“Sembra miele amaro di corbezzolo, solo la consistenza è diversa, qualcosa come quando si beve l’uovo crudo”). È decisamente il racconto a più alto tasso erotico (“L’importante non è il gioiello, che alla fine è sempre lo stesso… l’importante è la cornice, il castone…”), molto esplicito e che contiene il periodo che intitola la raccolta (“Tutta la mia bellezza per niente, potrà anche dire la mamma che è la bellezza dell’asino, ma lei lo dice per invidia, perché dell’asino o no, sempre bellezza è, anzi, secondo me l’unica bellezza vera è proprio quella dell’asino, e tutto il resto è artificio…”).
Decisamente colta è l’ispirazione di Murzikhàn, racconto nel quale Pia Pera dà libero sfogo al suo profilo di studiosa e traduttrice di letteratura russa: infatti nel gatto Murzikhàn (“Non posso tuttavia non dolermi della mia condizione di felino mutilato”) per metempsicosi (“Il Grande Brahman ha nuovamente intrecciato i nostri destini”) rivive l’Eugenio Onegin di Puškin, così come nella padrona del felino, la modella Gilberta, alberga Tatiana (“Ché essere Onegin innamorato di Tatiana, o il gatto castrato di Gilberta non è in fondo lo stesso?”). Con implicita e surreale comicità il gatto difende l’amata dagli approcci di Bini, pretendente indesiderato (“L’umiliazione più profonda del proprio io: avvertire di non giocare nessun ruolo nelle passioni dell’essere desiderato”), e fa incursione in riflessioni antropizzate (“Dovevo arrivare a comprendere nella mia vita di gatto, che non nel sesso si realizza l’unione fra uomo e donna, ma nel riso!”) ed erotiche (“La podofilia è l’unica costante nel trascorrere delle mie identità”).
Sotto zero narra l’eutanasia dell’amore tra Lavinia e Jim (“Lavinia rivede l’eterno boyscout, equivalente californiano e orientaleggiante del vecchio detestato buon attivista di parrocchia”), propiziato dall’incontro con Mario durante un viaggio tra Capri e la costiera amalfitana.
Capitomboli è il racconto più lungo e complesso. In forma epistolare narra una relazione sentimentale molto intricata: quella tra Cristina, moglie per copertura di Arturo, regista d’opera innamorato di Aldo e idolatrato dalla mecenate Domitilla.
Mentre si sta completando l’allestimento della Manon, sulla falsariga del libretto, Cristina – delusa dalla freddezza del marito (“Per quanto comoda, la tua indifferenza era umiliante”) – si abbandona all’avventura con uno sconosciuto, mentre Arturo è impegnato a convincere Aldo dell’opportunità di consumare nella clandestinità il rapporto omosessuale. Tra delicati equilibri psicologici (“C’è la tensione del non ancora consumato”) e complicate coperture sociali e familiari, l’egocentrismo creativo di Arturo trionfa grazie a impostazioni culturali fortemente maschiliste (“Una donna non chiede altro: per loro la felicità non consiste nell’abbracciare l’amato, ma nel sentirsi addosso gli occhi invidiosi delle amiche e nell’assaporare tale illusoria sensazione di potere”).
Non dire falsa testimonianza dà voce a un sogno del nonno che, nella sua rappresentazione onirica, interpreta Mosé (“Un uomo onesto direbbe che le leggi le ha scritte lui, non me le attribuirebbe”) e scrive i dieci comandamenti in antagonismo con Dio (“Non torturare: io mi sarei limitato a quello: non pronunciare il Nome invano e non torturare”), celebrando la potenza della parola (“Il gusto di colpire con la più subdola delle armi, la parola”).
San Michele e il Drago è ambientato a Lucca e fornisce un’interessante chiave di lettura del rapporto tra i genitori della scrittrice (“Avevo sottovalutato mia madre immaginando sarebbe stata più felice con un marito gentile. Invece sarebbe morta di noia”), rivelato dai messaggi che il papà scrive (“Impossibile sperare in altri biglietti di geniale ferocia”).
Chiude la raccolta il sofisticato Ai posteri (da leggersi a 150 e uno anni dalla morte di Marguerite Gautier).
Bruno Elpis
Aggiungi un tuo commento
LEGGI COMMENTI ( Nessun commento )