Saggi

Nel continente c’ero

Vianello Edoardo

Descrizione: Il cantante si racconta nell'autobiografia 'Nel continente c'ero'. L'epoca d'oro e le collaborazioni con i maestri, il Sanremo di Tenco, la politica...

Categoria: Saggi

Editore: Baldini + Castoldi

Collana: Le boe

Anno: 2022

ISBN: 9791254940198

Recensito da Redazione i-LIBRI

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Nel continente c’ero – La favolosa storia vera del re dell’estate di Edoardo Vianello

«Ho iniziato, un giorno di non molto tempo fa, a ricostruire cosa mi è capitato dal mio primo anno di vita al secondo, al terzo, e così via. Un diario atipico, perché frutto solo della mia memoria. L’ho scritto per poterlo leggere io stesso, per dare sostanza ai miei ricordi. Per collocarmi nelle società di cui ho fatto parte, a partire da quella della guerra; in mezzo alle persone con cui ho condiviso un’amicizia o un’episodica frequentazione; tra coloro che non conosco ma che mi conoscono attraverso le canzoni che ho scritto e interpretato; per confrontarmi con quel “maghetto” che ha contribuito alla mia fortuna artistica, a rendere le mie musiche la “colonna sonora dell’estate”; per mettere a fuoco, insomma, una vita che è stata ricca di soddisfazioni ma, come sempre accade, anche di dispiaceri e di dolori. Il più grande: la perdita di Susanna, la mia dolcissima figlia adorata. Se questi ricordi sono diventati un libro, è perché presumo che a qualcuno possa interessare leggerlo. Spinto magari dalla curiosità di sapere come sono nate le mie canzoni, come sono “visti da vicino” i personaggi dello spettacolo con cui ho più strettamente collaborato in sessanta e più anni di carriera; in pratica quasi tutti, da Ennio Morricone a Franco Califano, per citarne soltanto due che non ci sono più. Pure se non ci conosciamo, in queste pagine ci scopriremo non più estranei. È possibile che una qualche storia, magari nascosta in una canzone o in un aneddoto, ci leghi sul filo della memoria. È questo, d’altronde, il desiderio di ogni autore. Mettendo la parola “fine” al mio libro, mi sono reso conto che tutta la mia vita è stata sostenuta da questo sogno.» (Edoardo Vianello).
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Leggi l’intervista rilasciata da Edoardo Vianello su Repubblica online in occasione della pubblicazione di Nel continente c’ero - La favolosa storia vera del re dell’estate

Una vita tra paraponziponzipò e a-a-bbronzatissima, tra gambe ad angolo per ballare il twist e capelli che in realtà sono crini di cavallo. Una vita per la canzonetta, quella di Edoardo Vianello. E se la musica serve anche a intrattenere e distrarre, allora la canzonetta è un’arte e lui ne è stato uno dei maestri. Tutto messo nero su bianco nell’autobiografia Nel continente c’ero (calembour che basterebbe a giustificare l’acquisto), scritta a 84 anni per Baldini + Castoldi.

I libri di memorie sono sempre bilanci di vita: il suo qual è?
«Quello di chi ha ottenuto molto più di quel che si aspettava e molto meno di quel che desiderava».

Traduciamo.
«Ho fatto musica senza sperare in nulla, solo per divertirmi e riuscire a rimorchiare. Quindi ho avuto un successo incredibile. Ma al contempo non ho ottenuto un riconoscimento ufficiale del fatto che le mie canzoni contenessero sia cose sofisticate che popolari: se le analizza non erano così banali nella melodia. Ma ho avuto anche varie fortune. Ad esempio avere accanto giganti: come paroliere Carlo Rossi, come arrangiatori, ma il termine è decisamente riduttivo, Luis Bacalov ed Ennio Morricone. A loro devo invenzioni come lo “splash” di Pinne, fucile e occhiali».

Nel diminutivo “canzonette” sente qualcosa di spregiativo?
«Tanti lo usano con questo intento. Per quanto mi riguarda no. Mi etichettano tutti con gli anni Sessanta e con la canzonetta. Ma quel decennio è stato semplicemente irripetibile e Dino Risi mise Guarda come dondolo e Pinne, fucile e occhiali nel Sorpasso per raccontare un’epoca. Un vero orgoglio».

Da dove viene quel suo modo di cantare quasi sincopato?
«Forse inconsciamente da mio padre Alberto, che era stato un bravo poeta futurista: c’erano tanti suoni quasi inarticolati in quel che scriveva. Mi piace pensare che mi abbia trasmesso qualcosa, anche se non abbiamo mai parlato della sua attività letteraria e questa attinenza tra me e lui l’ha scovata Vincenzo Mollica. Comunque sì, le mie canzoni sono futuriste: hanno raggiunto il futuro. Adesso, per esempio, mi ha fatto molto piacere che Myss Keta abbia scovato nel Capello la parola “finimondo” e ci abbia fatto una canzone».

Chi la critica sottolinea spesso la vacuità dei testi, il parlare di sciocchezze o cose assurde.
«Ma la vita è fatta anche di queste cose. E poi ho un mio lato artistico serio, diciamo così, penso a una canzone come O mio Signore, anche se io sono fiero del lato più divertito. Che comunque parla anche di cose importanti. Ad esempio Il capello, che racconta la corruzione».

Prego? Dove starebbe la corruzione nella storia di un capello che in realtà è un crine di cavallo uscito dal paltò?
«Nella dichiarazione del chimico, che è stato evidentemente prezzolato dal traditore».

Questa ci mancava. Ma allora parliamo del razzismo, quello di cui tanti tacciano “I watussi”. Riscriverebbe ancora le parole “Gli altissimi negri”?
«No, ovviamente: mi rendo conto della discriminazione verso le persone alte».

E seriamente?
«E seriamente se guarda le trasmissioni d’epoca su Rai Storia si accorgerà che ai tempi “negro” era una parola di uso comune senza connotazioni dispregiative: la si usava anche per definire Martin Luther King. Quindi io ce la lascio e canto ancora la canzone così: è storia. Sarebbe come levare la scritta “Mussolini Dux” dalla colonna del Foro Italico».

A proposito, lei è uno dei pochi cantanti ad avere dichiarato simpatie di destra, e in tempi non sospetti, alla nascita di An. Contento del governo Meloni?
«Anzitutto mi lasci precisare che non sono mai stato fazioso né aggressivo, mi sono anche tranquillamente esibito alle Feste dell’Unità. Poi certo ho le mie idee, e in questo momento veramente buio per l’Italia credo e spero in Giorgia Meloni: è l’unica che può darci uno scossone».

L’hanno mai confusa con suo cugino Raimondo?
«Non sa quante volte, io con lui e lui con me. In una scenetta di Casa Vianello Raimondo riceve una telefonata in cui lo chiamano Edoardo e lui sbotta: “Non confondetemi mica con quel cantante”. Quanto a me, la più clamorosa fu a una premiazione in Comune a Roma: il sindaco Darida mi diede una targa chiamandomi Raimondo. Non ebbi cuore di smentirlo e risposi: “Chissà quanto sarà contenta Sandra”».

Da Darida a Dalida: lei era a Sanremo nel 1967, l’anno di Tenco e della sua morte che ancora fa discutere.
«Un’esperienza terribile. La mia sensazione è che Luigi fosse fuori di testa per sostanze e alcol e abbia pasticciato con la pistola. La certezza è quel che successe il giorno dopo: io non volevo cantare, e invece fui costretto. Per di più il titolo della mia canzone era Nasce una vita, e non devo aggiungere altro».

Leggi l’intervista completa a questo link

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