Il 21 febbraio 2022, poco dopo che Macron ha ottenuto dal presidente russo la disponibilità a partecipare a un summit con Joe Biden, Vladimir Putin convoca il proprio Consiglio di sicurezza, l’organismo dove siedono i più grandi personaggi dello Stato, i suoi fedelissimi. Qui parla della situazione nel Donbass dove le due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk, in mano ai filorussi, sono attaccate, dice, dall’attuale potere di Kiev. Vuole decidere, spiega, come la Russia debba rispondere alla richiesta di riconoscimento delle due repubbliche.
Chiede dunque ai vari esponenti di dare un loro parere. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov racconta degli incontri con i colleghi occidentali e conclude che l’Occidente respinge le richieste legittime della Russia. Parla di direttore dell’Fsb, il servizio segreto: la situazione nel Donbass sta peggiorando. Putin chiede: si devono riconoscere le due repubbliche dal momento che il ricatto dell’Occidente è divenuto palese? Parla Medvedev. Putin lo rimanda a sedere con un gesto della mano e specifica: non ho chiesto il vostro parere in anticipo. Vuole solo sapere se il suo primo cerchio aderisce alle iniziative che sta per prendere.
La risposta che gli viene data non è entusiasta, ma neppure negativa. L’ultimo a parlare è Michail Mišustin, direttore dell’intelligence internazionale. “Vuole avviare un iter di trattative?”, gli domanda Putin. La risposta non arriva, fino a che l’uomo non ripete la frase che gli ha suggerito Putin. “Grazie, torni pure a sedere”.
Questa scena è raccontata da Michel Eltchaninoff, giornalista e saggista parigino di famiglia russa, in Nella testa di Putin (e/o) e mostra come il leader russo eserciti il suo potere sulla cerchia degli intimi. La situazione richiama alla memoria le riunioni convocate da Stalin al Cremlino negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, che spesso si concludevano con effetti tragici su chi vi partecipava.
Eltchaninoff, studioso di filosofia russa, ricostruisce nel suo libro – contributo che si aggiunge ad altri libri recenti (Elena Kostioukovitch, Nella mente di Putin, La nave di Teseo; Mara Morini, La Russia di Putin, il Mulino; Giorgio Dell’Arti, Le guerre di Putin, in libreria con La nave di Teseo, in edicola con Repubblica) – le basi filosofiche di Putin. A partire dalla sua svolta conservatrice nel 2013, si è andata infatti consolidando una dottrina Putin.
Il leader russo ha un progetto per l’Europa e per il mondo ed è convinto di non essere molto lontano dal realizzarlo. Si compone di due elementi principali: “il mondo russo” e la leadership del movimento conservatore presente nel continente europeo. L’Europa è al declino economico e morale, come dimostrerebbero il dilagare della pornografia, i matrimoni omosessuali, l’ateismo trionfante, il cosmopolitismo e persino l’uso di Internet. La Russia ha vinto la Grande guerra patriottica contro la Germania, ma ora è messa in un angolo, umiliata di continuo dalle potenze occidentali, Stati Uniti in primis.
Questi libri, seppur in modo diverso, fanno capire che Putin non ragiona in termini di utilità, l’aggressione dell’Ucraina è una decisione contraria agli interessi della Russia.
Vladimir Putin è un uomo comune che ha raggiunto con grande abilità un potere immenso in Russia eliminando avversari, dominando l’opinione pubblica con il controllo dei media e facendo leva su un risentimento diffuso tra i suoi connazionali dopo la fine dell’Urss.
Dal ritratto che ne danno i vari autori si evince che la teoria politica imperiale che Putin ha elaborato, quella che l’ha spinto a scatenare la guerra contro l’Ucraina, nasce da una radicata teoria del complotto con cui la sua stessa sofferenza sembra ritrovare un senso fino a compensare due debolezze di fondo: la solitudine, causa della sospettosità, e il senso di pochezza personale a lungo negato, che si rovescia nel suo contrario: un complesso di grandezza e superiorità…
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