Narrativa

Non c’è dolcezza

Ibrahimi Anilda

Descrizione: Arlind non è ancora nato che già la vita si prende gioco di lui. Sua madre Lilla ha sognato che partorirà un'altra femmina, la quarta. Perciò ha promesso di darla in adozione alla cognata Eleni, che non può avere figli. Ma quando nascerà un maschio, Arlind, Lilla rinuncerà lo stesso a lui, perché in un villaggio albanese venir meno alla parola data attira la cattiva sorte. Arlind cresce con un profondo senso di smarrimento, che diventa a poco a poco dolore, e poi odio profondo. Unico punto di riferimento, il nonno Kristo che gli insegna "il discreto rumore del perdono". Nel frattempo un'onda travolge il mondo attorno a lui: il crollo dei regimi dell'Est. Cambia il mondo dei vivi, ma anche quello dei morti: e chi è stato creduto morto, si scopre essere vivo.

Categoria: Narrativa

Editore: Einaudi

Collana: Coralli

Anno: 2012

ISBN: 9788806209117

Recensito da Lucilla Parisi

Le Vostre recensioni

Un’amicizia che attraversa il tempo, un patto scellerato e un Paese nel pieno dei suoi cambiamenti politici e sociali.

Sono questi gli ingredienti del terzo romanzo della scrittrice albanese Anilda Ibrahimi, già autrice dei due libri di successo Rosso come una sposa (2008) e L’amore e gli stracci del tempo(2009), sempre editi da Einaudi.

Lila ed Eleni crescono insieme nel piccolo villaggio di Urta, nella campagna albanese. Condividono sogni e amori, come quello per il giovane Andrea, destinato però ad un’altra donna.

Dopo la partenza di Lila per la capitale, l’insegnamento in una scuola elementare, il matrimonio con Niko, il fratello di Andrea, e tre gravidanze, le loro esistenze prendono direzioni diverse. Eleni rimane infatti nel villaggio, aggrappata ai proprio sogni irrealizzati e con un occhio alla capitale, dove la sua amica sembra aver invece trovato la sua strada. Nonostante il matrimonio con Andrea, rimasto nel frattempo vedovo e ancora legato alla moglie perduta, Eleni non riesce a rimanere incinta.

Così Lila, in attesa di quella che lei crede essere la quarta femmina, decide – in uno slancio di generosità per l’amica di un tempo – di “donare” la propria bambina ad Eleni e al cognato Andrea.

Il giorno della nascita, però, Lila scopre che il nascituro è un bambino a cui darà il nome di Arlind. Nello stesso istante in cui il piccolo si attacca al seno di sua madre, qualcosa si spezza dentro Lila che scopre di non essere pronta a cedere il proprio bambino. Per tenere fede alla promessa fatta, la donna, dopo tre mesi in cui accudirà e allatterà il figlio, accompagnerà però Arlind ad Urta per consegnarlo ai suoi nuovi genitori.

La scelta di Lila rappresenterà per le donne la condanna ad una condivisione forzata, quella di Arlind, da cui Lila non riuscirà mai a staccarsi e di cui Eleni non si sentirà mai veramente madre.

Lila rimane vittima della sua stessa scelta, avventata e innaturale, privandosi di un figlio solo per tenere fede ad un patto senza senso. Eleni pagherà a caro prezzo il suo desiderio di maternità, accettando di accogliere tra le sue braccia il figlio dell’amica.

Quando si stacca dal figlio, Lila si guarda intorno impaurita. Allunga le mani e con gli occhi prega Eleni di ridarglielo indietro. Eleni la esaudisce, poggia delicatamente il bambino su quelle braccia scheletriche. Lila lo avvicina al viso e lo annusa sul collo, dietro l’orecchio, la nuca. Cerca di conservarne l’odore. Quando Eleni riprende il bambino, Lila si accascia a terra e alza le mani vuote verso il cielo […]. Le braccia di Lila non sono più la sua culla, d’ora in poi lei sarà solo una zia, una zia che vive nella capitale e che viene in visita come tutti gli zii del mondo. Arlind non dovrà sapere del suo dolore. Quel dolore che ora la sviscera […] Un filo che la lega al suo bambino, e alla vita […] Arlind si sveglia, piange. Eleni lo prende in braccio. Timida, amorevole. Lui cerca il seno. Lei lo allontana con dolcezza e gli offre il biberon pieno di latte. Lui lo rifiuta e tenta di attaccarsi al seno come ha sempre fatto.

Una trama decisamente “tagliente”: il passaggio di mani del bambino tra le due madri è qualcosa di tremendamente doloroso e crudele. Il pianto inconsolabile del bambino che cerca il seno di sua madre assente e la disperazione impotente di Eleni che prova, invano, a sostituirsi a Lila è straziante. L’autrice riesce, con poche e incisive righe, a dare forma al dramma che ha tutto il sapore di una tragedia classica, inevitabile, terrificante, maledetta. Il legame di sangue, insuperabile anche dall’affetto più profondo, diventa per due donne – per chi lo ha tradito e per chi lo ha ignorato – la condanna all’infelicità.

La scrittura, nel complesso, risulta ingenua e acerba, a tratti poco credibile. Dialoghi approssimativi e risvolti spesso retorici della trama.

Il libro riesce, se pur a fatica, a decollare, complice la forza degli argomenti trattati.

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