Saggi

Odio sentirmi una vittima

Sontag Susan

Descrizione: Susan Sontag è stata una delle intellettuali americane più celebri, influenti e controverse della seconda metà del ventesimo secolo. Quest'opera svela la sua lucida visione del mondo e rivela l'ampiezza della sua intelligenza critica. Risoluta, intensa, testarda e provocatoria, con parole sofferte e prive di ogni retorica, Sontag riflette sugli argomenti più disparati: la malattia, l'amore e la morte, il sesso, la fotografia e la musica - Bill Haley & The Comets, Chuck Berry, Bob Dylan e Patti Smith -, l'approccio alla scrittura, la società americana, la filosofia, da Proust a Nietszche.

Categoria: Saggi

Editore: Il Saggiatore

Collana: La piccola cultura

Anno: 2016

ISBN: 9788842822424

Recensito da Lucilla Parisi

Le Vostre recensioni

Nel 1978, il giornalista Jonathan Cott incontrò Susan Sontag nell’appartamento parigino della scrittrice che gli concesse un’intervista – “autorevole e diretta” – per la rivista Rolling Stone. Cinque mesi dopo, la conversazione proseguì nell’appartamento di New York della Sontag. La rivista pubblicò un terzo della conversazione, che Cott ha qui riproposto interamente e pubblicata in Italia da Il Saggiatore con la traduzione di Paolo Dilonardo e il lo Odio sentirmi una vittima.

L’intervista fu in realtà il pretesto per uno scambio, ad alti livelli, di azioni e rivelazioni su tanti argomenti che stavano a cuore alla scrittrice e regista statunitense. La letteratura, la scrittura, la malattia, ma anche le inquietudini e le passioni della Sontag si fanno strada tra le “mirate” domande del giornalista, fornendo al lettore degli spunti interessanti di riflessione.

La Sontag, come altri intellettuali e attivisti politici del secolo scorso, ha vissuto la sua epoca con l’impegno e l’attenzione che certi eventi (complessi e straordinari) richiedono, dedicando ai numerosi cambiamenti culturali e sociali del tempo quel coinvolgimento e quella passione necessari per poterli comprendere a fondo e raccontarli con responsabilità. Intellettuale che non disdegnava un approccio più umano e informale alla cultura (anche popolare), la Sontag conferma in queste pagine di preferire una “visione della vita della mente come vita di desiderio, di piena intelligenza e di piacere.” Desiderio e conoscenza vanno, anzi devono andare, di pari passo e la scrittura, confessa, è semplicemente “un abbraccio; un lasciarsi abbracciare.”

Con questo spirito, la Sontag si è sempre accostata all’oggetto del suo lavoro: i suoi saggi sulla letteratura, sull’arte e sulla fotografia sono carichi di visioni, di piacere e di estasi. C’è amore nel suo pensiero e nella sua lettura, libera da etichette o ghettizzazioni (fossero anche commerciali), della cultura.

Una delle battaglie che combatto da più tempo è quella contro la distinzione tra pensiero e sentimento, che è all’origine di ogni concezione anti-intellettualistica: cuore e testa, pensare e sentire, immaginazione e giudizio… Non credo affatto che tali contrapposizioni siano vere. Abbiamo più o meno gli stessi corpi, ma i nostri corpi sono molto diversi. Credo che per pensare ci serviamo molto di più degli strumenti forniti dalla cultura che di quelli offerti dal corpo, e nasce da qui la grandissima varietà di pensiero che esiste al mondo. Ho l’impressione che pensare sia una forma di sentimento e il sentire una forma di pensiero.

Dal buddhismo al rock and roll, passando da Chuck Berry, i Doors e Patti Smith a Dostoevskij, Dickinson e Barthes, tutto serve a formare il pensiero e a fornire gli strumenti per una comprensione più veritiera della realtà. Non si vive fuori dalla storia: ciò che siamo e facciamo risente inevitabilmente dagli eventi che, lo si voglia o no, contraddistinguono l’epoca in cui viviamo.

Gran parte delle cose che riteniamo naturali è prodotta dalla storia e ha delle radici […] e continuiamo sostanzialmente a fare i conti con attese e sentimenti formulati in quel periodo, come le idee sulla felicità, l’individualità, i mutamenti sociali radicali e il piacere. […] Perciò quando vado al Cbgb per assistere a un concerto di Patti Smith mi diverto, partecipo, apprezzo e sono più in sintonia perché ho letto Nietzsche.

Presupposto per vivere nella storia è affrontarla con gli strumenti giusti e non si può prescindere dalla conoscenza. Certo nulla di nuovo, ma la Sontag ci tiene a sottolineare come – nel proprio caso – è la lettura, insieme alla scrittura, ad aver rappresentato il centro di resistenza del proprio essere, come individuo e come intellettuale. Il poter scrivere di ciò che accadeva è stato per lei anche un modo per essere pienamente presente nella propria vita. Il suo Malattia come metafora nacque – ad esempio – proprio in un momento doloroso e terribilmente reale della sua esistenza, e la scrittura rappresentò, oltre che un tentativo disperato di esorcizzare la paura, un modo per sentirsi viva e in lotta con la vita stessa.

Io scrivo in parte per cambiare me stessa: una volta che ho scritto qualcosa, non devo più pensarci. Scrivere è in realtà un modo per liberarmi di certe idee.

Così la Sontag racconta anche le debolezze tutte umane e i sentimenti, a volte irragionevoli ma pur sempre legittimi, che accompagnano certe vicende. Il voler fuggire da se stessi è il tema che spesso ricorre nei suoi scritti, un desiderio comprensibile se si pensa ad esso come a un modo per poter diventare altro, migliorandosi, alla continua ricerca e crescita personale.

Mi piace non sapere dove sto andando e, allo stesso tempo, essermi già inoltrata lungo il cammino. Non mi piace trovarmi al punto di partenza, ma neppure vedere la fine.

La conversazione prosegue, ritmata, su svariati argomenti, con spunti decisamente interessanti su autori (passati e contemporanei) e tendenze (nella fotografia come nella comunicazione) per il lettore che abbia voglia di cogliere tutta la ricchezza di queste pagine. Come il passo della Lettera a Borges della Sontag che Cott cita al termine della prefazione e che riporto qui di seguito dall’edizione originale del 2013:

Some people think of reading only as a kind of escape: an escape from the “real” everyday world to an imaginary world, the world of books. Books are much more. They are a way of being fully human.

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