Quest’anno ricorre il centesimo anniversario della morte di Guido Gozzano (1883-1916).
Come abbiamo segnalato ieri, a Roma oggi si svolge una giornata di studio dedicata al grande poeta torinese: http://www.i-libri.com/eventi/fonti-e-ragioni-dellopera-di-guido-gozzano/
E se ieri, nella raffinata produzione poetica di Gozzano, abbiamo scelto “Paolo e Virginia“, un’incredibile storia d’amore che trapassa al tempo stesso il mito del buon selvaggio di Rousseau, l’esotismo alla Gauguin e il melodramna crepuscolare, attingendo dall’omonimo romanzo di Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre (1787), oggi la nostra scelta ricade su un altro componimento tratto da “I colloqui”.
“Invernale” è una poesia-racconto che, nell’assoluta musicalità dell’elegia, trasfonde una storia rappresentativa dei dilemmi giovanili ed esistenziali: su una pista di pattinaggio il ghiaccio cede, tutti scappano allarmati, rimangono due superstiti in una possibile storia d’amore di fronte a un bivio, resistere o scappare. Le scelte non necessariamente coincidono e la decisione implica, essa stessa, una scelta.
Io credo che la bellezza di questa poesia risieda, oltre che nel suono armonizzato di versi soavi, nell’universalità del sentimento situazionale e nel contrasto aristotelico tra potenza e atto. Chi di noi non ha un ricordo di adolescenza (e magari di primo amore) ghiacciato e cristallizzato su una pista di pattinaggio? Chi di noi non sceglie – quotidianamente – tra l’ardimento dell’originalità e la vigliaccheria del conformismo?
Io… sì… vivo sia il ricordo, sia il conflitto quotidiano… e allora, forse, sarà anche per questo che amo Invernale.
Bruno Elpis
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Invernale di Guido Gozzano
Rabbrividii così, come chi ascolti
lo stridulo sogghigno della Morte,
e mi chinai, con le pupille assorte,
e trasparire vidi i nostri volti
già risupini lividi sepolti…
Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più forte…
Oh! Come, come, a quelle dita avvinto,
rimpiansi il mondo e la mia dolce vita!
O voce imperiosa dell’istinto!
O voluttà di vivere infinita!
Le dita liberai da quelle dita,
e guadagnai la ripa, ansante, vinto…
Ella solo restò, sorda al suo nome,
rotando a lungo, nel suo regno solo.
Le piacque, alfine, ritoccare il suolo;
e ridendo approdò, sfatta le chiome,
e bella ardita palpitante come
la procellaria che raccoglie il volo.
Non curante l’affanno e le riprese
dello stuolo gaietto femminile,
mi cercò, mi raggiunse tra le file
degli amici con ridere cortese:
“Signor mio caro grazie!” E mi protese
la mano breve, sibilando: “Vile!”
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