Raccolte

Quando le chitarre facevano l’amore

Mazzoni Lorenzo

Descrizione: È il 2 maggio del 1945. Martin Bormann, braccio destro di Adolf Hitler, scompare per le strade di Berlino durante l'avanzata sovietica. Vent'anni dopo, fonti prossime alla CIA lo identificano come Martin Weisberg, finanziatore eccentrico e pacifista della rock band The Love's White Rabbits vicina al Movimento radicale. Da qui ha inizio una caccia all'uomo che coinvolgerà settori deviati dei servizi segreti americani e israeliani, uno scovanazisti italiano, un attore cieco fan di Charles Bronson, un reduce dal Vietnam fuori di testa. La vicenda è ambientata prevalentemente negli Stati Uniti, con incursioni fra Città del Guatemala, Singapore, Saigon. Sullo sfondo il clima esplosivo dell'estate del '68. Storia, cronaca e finzione si rincorrono fondendosi dalla prima all'ultima pagina di questo originale romanzo dal ritmo incalzante e dal finale al cardiopalma. Così accade che una spia in gonnella semini il Caos. Uno scheletro sia perdutamente innamorato di Anita Garibaldi. Una chitarra racconti la Beat generation. Una scultrice plasmi marijuana e hashish. Uno spietato killer del Mossad adori indossare scarpe rosa coi tacchi a spillo. E mentre scorrono fiumi di limonata all'LSD, esplode la questione nera, le università sono in rivolta, la musica psichedelica spopola tra i giovani e gli agenti dell'FBI reprimono le proteste.

Categoria: Raccolte

Editore: Spartaco

Collana: Dissensi

Anno: 2015

ISBN: 9788896350478

Recensito da Elpis Bruno

Le Vostre recensioni

Lorenzo Mazzoni colloca nelle adiacenze del ’68 la storia di “Quando le chitarre facevano l’amore”.
L’idea originale di questo romanzo è quella di addensare nell’azionismo pulp di una vicenda surreale le atmosfere sfrenate e il clima greve di tensioni di un’epoca irripetibile per creatività e ricchezza ideologica.

L’occasione narrativa viene fornita dalla caccia ingaggiata contro Martin Bormann  (“Il discreto servitore nell’ombra. Colui che aveva suggerito all’orecchio del capo il rogo della Notte dei Cristalli, la Gnadentod per dare il colpo di grazia ai minorati psichici, la conferenza di Berlino-Wannsee per la Soluzione finale”), nazista scampato in modo rocambolesco alla sconfitta (“Il capo che si uccide, il leggero corpo della signorina, anzi signora Braun trasportato fuori”) e fuggito nel Nuovo Mondo al pari di molti colleghi (“Le zone ricche di Buenos Aires… andavano velocemente riempiendosi di ufficiali nazisti, ustascia croati, fascisti italiani”).
Dalle rive etniche del lago Atitlan, ove è in pieno svolgimento il ciclo biologico delle farfalle monarca,  Luigi Portaleone  (“Nutro un profondo rispetto per il signor Wiesenthal”) viene incaricato dall’esuberante Lolicia Smith (“M’interessa lui. E so dove si trova”): “Dovrà portarmi Martin Bormann, il devoto segretario di Hitler che conserva tutti i segreti del delirio nazista”.
Perché pare che il gerarca (“Si fermò ad Anita. C’era un negozio in vendita… E intanto finanziava i Love’s White Rabbits, la più grande, genuina, autentica band di guerriglia musicale della contea”) si sia completamente riciclato in Texas (“Aiuto a costruire un nuovo sogno americano per questi figli della rivoluzione”).

Ma Luigi non è l’unico agente (“Lo so che un agente segreto queste cose non le chiede, ma per chi lavoriamo? Per la CIA?”) sguinzagliato sulle tracce di Bormann. La cittadella immaginaria di Anita (“Anita è stata fondata da un italiano”) diviene calamita per i finti messicani José e Ramirez, alias Daniel e Adam (“Lo sai. È la copertura. Quel bastardo vive in una comunità hippie. Dobbiamo sembrare dei capelloni messicani”), forse affiliati al Mossad e certamente capitanati dal “Vecchio”. Anita è anche polo di attrazione per un sosia del presidente del Guatemala (“Un non vedente guatemalteco, un artista completo… Paco Ignacio”) e meta di un reduce del Viet-Nam (“Soldato Roberto Dohrn. Secondo battaglione del ventiseiesimo reggimento Marines”), che cova propositi di vendetta contro i Love’s White Rabbits per una delusione d’amore ingigantita dalla follia della guerra.

Sullo sfondo di fatti storici quali l’assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy, la guerra in Indocina e il conflitto mediorientale (“Il 5 giugno scoppiò la guerra dei Sei Giorni, che si concluse con l’occupazione israeliana del Sinai, della Cisgiordania, delle alture del Golan e di Gerusalemme Est”), le sommosse studentesche, per giungere sino alla primavera di Praga (“Questa notte i veicoli corazzati russi hanno invaso la Cecoslovacchia”) e alla repressione in occasione della  Convention democratica di Chicago, il romanzo ha la colonna sonora del pop (“Si chiamano Beatles e la canzone s’intitola I saw her standing there”), dei grandi eventi musicali (“Our world in tv. C’erano i fiori, c’erano giovani ricoperti di ghirlande e c’erano i Beatles che eseguirono All you need is love”), di Bob Dylan e della Bamba di Richie Valens (“Era un omaggio allucinato alle origini culturali di quei giovani studenti”), perché il 1968 è “un buon momento per la musica. E per l’energia”.

Nel testo di Lorenzo Mazzoni ritroviamo i ritmi “on the road” della beat generation, lievi impronte di una filosofia rivoluzionaria  (“Leggere gli incomprensibili testi di Marcuse e Ginsberg”) che oggigiorno è reperto fossile, le atmosfere allucinate e lisergiche (“Spostò lo sguardo sul falò. Le fiamme emanavano bagliori blu, viola, verdi… Ogni tinta assumeva i contorni di disegni bellissimi. Pavoni, principesse siriane, liane di perle, batuffoli di nuvole rosa, danzatrici di calypso, Atlantide”) di un’età sulla quale si riversano ricordi e nostalgie, le “sinapsi celestiali e sinestesie psichedeliche” in combinazione eclettica ove chitarre, bassi e tastiere divengono voci narranti, mentre  lo scheletro del garibaldino fondatore di Anita (“Willie Levan non si mosse dalla sua eterna posizione morta”) è feticcio di dissacrazione e la tartaruga Penelope è la mascotte che i protagonisti si palleggiano quasi per sopravvivere agli attentati. Il finale, coerentemente con la storia, non può che essere “un finale di gruppo”, al quale – in pieno far west – partecipano CIA, FBI, sceriffi… e naturalmente i Love’s White Rabbits e la loro strumentazione parlante.

Bruno Elpis

...

Leggi tutto

LEGGI COMMENTI ( 2 commenti )

Marrakech: Workshop di Scrittura Pratica (17-21 febbraio 2016) - New i-LIBRI

[…] Di Lorenzo Mazzoni abbiamo recentemente commentato l’ultima opera, Quando le chitarre facevano l’amore (potete leggere la recensione a questo link: http://www.i-libri.com/libri/quando-le-chitarre-facevano-lamore/ ) […]

Marrakech: Workshop di Scrittura Pratica (17-21 febbraio 2016) – i-LIBRI

[…] opera, Quando le chitarre facevano l’amore (potete leggere la recensione a questo link: http://www.i-libri.com/libri/quando-le-chitarre-facevano-lamore/ […]

Intervista a Lorenzo Mazzoni, autore di “Quando le chitarre facevano l’amore” – i-LIBRI

[…] per questa simpatica intervista, che aggiunge il punto di vista personale dell’autore alla recensione che pubblichiamo oggi nella home page di […]

Aggiungi un tuo commento

Scrivi la tua recensione

Devi effettuare il login per aggiungere un commento oppure registrati

Lorenzo

Mazzoni

Libri dallo stesso autore

Intervista a Mazzoni Lorenzo

È notte, su un'autostrada svizzera. Una macchina procede a velocità sostenuta, diretta a Marsiglia. A bordo un uomo, Pietro Leone, funzionario dell'Onu a Ginevra. Accanto a lui dorme il figlio Pietro, una console stretta tra le mani, i jeans a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti. I due sono in fuga, da non si sa bene cosa. La sola cosa che Pietro sa è che da giorni qualcuno sta tenendo sotto controllo i movimenti suoi e della sua famiglia e che la moglie Emilia, ricercatore al Cern, è scomparsa da casa da qualche giorno. La donna stava lavorando, con un gruppo di fisici spagnoli, a un rivoluzionario calorimetro per decifrare le energie di fotoni ed elettroni...

L’energia del vuoto

Arpaia Bruno

Libro dell’inquietudine

Einaudi

Il piacere

D'Annunzio Gabriele

Dialogando con il figlio mai avuto, un uomo ripercorre la sua vita. Ma se a quel padre e a quel figlio dà la voce Erri De Luca, leparole nate dalla notte emanano luce. “Le parole, figlio, non inventano la realtà, che esiste comunque. Danno alla realtà la lucidità improvvisa, che le toglie la sua naturale opacità e così la rivela.” In una sera senza corrente elettrica, mentre rilegge Pinocchio, un uomo sente la presenza del figlio che non ha avuto, il figlio che la madre – la donna con cui in gioventù lo concepì – decise di abortire. Alla fiamma del camino, il figlio gli appare già adulto, e quella presenza basta “qui e stasera” a fare la sua paternità. Per tutta la notte al figlio “estratto da una cena d’inverno” lui racconta “un poco di vita scivolata”. E così ecco l’infanzia napoletana, la nostalgia della madre e del padre, il bisogno di andare via, di seguire la propria libertà – “lalibertà che ho conosciuto è stata andare e stare dove non potevo fare a meno” –, le guerre trascorse ma anche i baci che ha dato… e, a poco a poco che racconta, immagina le reazioni di questo figlio adulto, ciò che potrebbe dire, fino a che il figlio, da muto che era, prende la parola e inizia a dare voce alla propria curiosità (“a proposito di maschere, di che ti vestivi a Carnevale?”), punteggia il racconto del padre con domande e osservazioni, lo guida, aiuta a mettere i dettagli a fuoco, e si fa guidare. Il monologo iniziale diventa così un dialogo a due voci, che indaga su una vita, sugli affetti, sulle scelte fatte, sui libri letti e su quelli scritti, sull’importanza delle parole e delle storie. Un’indagine che, più che tracciare un bilancio, vuol essere scandaglio, ricerca intima – quasi una rivelazione –, che accoglie l’obiezione, è aperta all’errore, si china sull’inevitabilità di ciò che è stato e salva, tramanda le qualità emerse dai ricordi (“questa potrebbe essere una dote per me: imparare da qualunque esempio”)...

Il giro dell’oca

De Luca Erri