È fantascienza sui generis – non poteva che essere tale – quella concepita da Yukio Mishima in “Stella meravigliosa”.
In questo commento cercheremo di cogliere in quale accezione – del tutto filosofica e umanistica – il Maestro giapponese declini la sua personale concezione estetica del disagio cosmico (“Se qualcosa non esiste è proprio quello che dovrebbe esistere. I miracoli che si erano manifestati a Takemiya, i dischi volanti stessi, poggiavano tutti, e si erano materializzati su tali esigenze estetiche”) e della preoccupazione per le sorti di un pianeta (“che essa possa ridiventare il meraviglioso astro di un tempo”) attanagliato dall’incubo nucleare.
La famiglia Ōsugi (“Era Kazuo, il fratello, a guidare. Accanto a lui era seduta la sorella minore Akiko. I genitori, i coniugi Ōsugi – ndr: Jūichirō e Iyoko – occupavano i sedili posteriori”) ha una connotazione insolita (“Sulle loro labbra le belle espressioni racchiudevano un tono sarcastico, e perfino le banali parole d’amore erano foderate dell’argento del disprezzo”) che deriva da una composizione eterogenea, multi-planetaria: il padre proviene da Marte (“Un tempo contemplavo la terra da Marte, il mio pianeta”), la madre da Giove (“Ma è possibile vedere al crepuscolo Giove, il tuo pianeta, mamma”), il figlio da Mercurio, la figlia da Venere (“Partenogenesi… adesso finalmente ho capito come si riproducono i venusiani”).
La famiglia trae la consapevolezza della propria genesi avvistando dischi volanti (“I miei contatti con i dischi volanti dipendono, per quanto strano possa apparire, da una maschera del Nō”) e conduce una vita particolare, contemplando la volta celeste (“Le stelle scintillavano nella volta notturna simile a una pelliccia di leopardo maculata”), manifestando l’impegno politico (“Chruščëv e Kennedy dovrebbero camminare spalla contro spalla e annunciare ai giornalisti in attesa sotto il sole mattutino: L’umanità è concorde nella decisione di sopravvivere”) a salvaguardia del pericolo atomico (“Verrà il tempo in cui comprenderanno il loro errore e torneranno alle nostre concezioni d’infinita armonia e di pace eterna. Ad ogni modo bisognerà scrivere al più presto una lettera a Chruščëv”) e quello sociale nell’attività di propaganda pacifista (“Che ne dite di unire le nostre energie affinché quei due uomini si stringano la mano il più presto possibile?”), con l’obiettivo di restituire alla Terra un improbabile futuro di pace (“L’Unione Sovietica ha iniziato una serie di esperimenti nucleari con bombe da cinquanta megaton. Sta per commettere un terribile delitto che potrebbe sconvolgere l’armonia dell’universo, e se l’America ne seguisse l’esempio la fine dell’umanità sarebbe vicina. Evitare un simile disastro è la nostra missione…”).
Nonostante la derivazione extra-terrestre, la figlia vive una storia d’amore totalizzante per Takemiya, forse anch’egli venusiano (“L’unico particolare che lo distingueva dai terrestri era un’eco inorganica della sua voce, simile allo sfregamento di metalli arrugginiti”); il figlio si dimostra sensibile ai richiami del potere, la madre attende alle attività domestiche, mentre il capofamiglia con il suo attivismo (“… un annuncio della Associazione degli amici dell’universo: Chi si interessa agli Θ ci scriva. Collaboriamo per la pace nel mondo”) conquista le attenzioni di oppositori che hanno ben altri, bellicosi intendimenti.
La minaccia (“Avrebbe cominciato a soffiare lo splendido vento del cannibalismo”) è rappresentata da una congregazione di trucidi alieni (“Noi proveniamo da un pianeta sconosciuto, vicino alla sessantunesima stella della costellazione del Cigno”) che covano programmi velenosi (“Bisognava rendere sterili tutte le donne della terra”) e distruttivi (“Dunque siamo venuti su questa terra… per distruggere l’umanità”).
Come contrastare i pericoli incombenti (“D’altronde era logico che l’esperimento nucleare sovietico dell’autunno precedente avrebbe provocato un’imponente ricaduta di ceneri radioattive”)?
Come realizzare il desiderio di pace e di benessere (“Per il giovane il mondo era illusione: l’unica certezza… lo splendore che traboccava sul pianeta Venere”)?
Come affrontare le disillusioni alle quali i terrestri condannano i loro simili (“Delusa com’era dallo squallore della terra intendeva imprimere alla conversazione un senso di disprezzo per il genere umano. Insomma, essi usavano, trasformata dalle regole di un lessico celeste, l’ipocrita conversazione solitamente utilizzata dagli esseri umani per scopi impuri…”)?
La filosofia di Mishima (“Più si avvicina il momento in cui si inizia a essere in sintonia con l’armonia universale e più l’ineluttabilità celeste procede come una macchina incandescente”) oscilla tra disperata coscienza culturale (“Gli dei sono morti, lo spirito è morto, il pensiero è morto”), ansia millenaristica (“Gli incendi sulle montagne avvamperanno… e intanto la terra vista dall’universo sembrerà una stella meravigliosa ancor più splendente di quanto lo sia ora… La terra diventerà come tu desideri: una stella meravigliosa”) e prospettiva di fuga metafisica (“Gli esseri umani sono caratterizzati da tre malattie congenite, ovvero da tre difetti predestinati. Il primo è l’interesse per gli oggetti, il secondo l’interesse per gli esseri umani, il terzo l’interesse per la divinità… Ad ogni modo, qualsiasi dei tre interessi porterà ineluttabilmente l’essere umano a premere il bottone”).
“Stella meravigliosa” (“Della sensazione reale che la terra fosse un astro adorabile…”) è un romanzo storico come testimonianza di un momento nel quale la contrapposizione tra i due blocchi e i due modelli era fonte di angoscia planetaria (“La morte che ormai circondava gli esseri umani aveva le sembianze di una bella nuvola… un’incessante infiltrazione di morte invisibile… le ossa umane, tenute nascoste e prigioniere fino alla morte, avrebbero risuonato, ancora vive, come una tromba”. Per avere una visione completa della minaccia nucleare così come percepita da Mishima si vedano le pp. 132-133 dell’edizione Guanda).
“Stella meravigliosa” è anche la storia dell’inquietudine cosmica dell’uomo, atomo impotente e solitario nella galassia dei misteri universali e delle incognite infinite.
Bruno Elpis
“Qui giace la specie umana che abitava in un pianeta chiamato terra.
Mentivano spudoratamente.
Ornavano di fiori sia la gioia sia il dolore.
Tenevano in gabbia gli uccellini.
Arrivavano in ritardo agli appuntamenti.
Ridevano sovente.
Riposino in pace nel sonno eterno.
Che, tradotto nella vostra lingua, suona:
Qui giace la specie umana che abitava in un pianeta chiamato terra.
Erano degli artisti.
Usavano gli stessi simboli sia per la gioia sia per il dolore.
Privavano gli altri della libertà affermando per contrasto la propria.
Non riuscendo a fermare il tempo si limitavano a essergli infedeli.
Conoscevano l’arte di spazzare via temporaneamente il vuoto con il loro fiato.
Riposino in pace nel sonno eterno.”
(Yukio Mishima)
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