Narrativa

UNA VITA VIOLENTA

Pasolini Pier Paolo

Descrizione: Pubblicato per la prima volta nel 1959, Una vita violenta venne giudicato dalla critica uno dei romanzi più importanti del dopoguerra. Lungi dal servire effetti coloriti e pittoreschi, il gergo fu utilizzato qui da Pasolini per dare una rappresentazione "lucida e spietata, delle persone e degli atti, dell'ambiente e delle fatalità" (Carlo Emilio Gadda) delle borgate romane. Il romanzo racconta la vera storia della vita breve, vissuta con passione, di Tommaso Puzilli, un giovane sottoproletario dei sobborghi romani. I piccoli furti, i rapporti con omosessuali, i vagabondaggi notturni, fino alla tragedia finale: il ritratto di un gruppo che vive al di fuori di ogni ordinamento sociale che lo possa condizionare. Con la prefazione di Vincenzo Cerami.

Categoria: Narrativa

Editore: Garzanti

Collana: Nuova Biblioteca

Anno: 2005

ISBN: 9788811683292

PRIMA EDIZIONE

UNA VITA VIOLENTA

vitaviolentaprima

Editore: Garzanti

Anno: 1959

Info:

Recensito da Ivana Bagnardi

Le Vostre recensioni

Tommasino s’accomodò vicino a lui all’impiedi, appoggiandosi al muro, un po’ curvo e intirizzito, con le mani in saccoccia e le gambe incrociate. 

Si sentiva soddisfatto della vita, anzi quasi sazio, e aspettando non gli restava che sbadigliare un po’

Tommaso Puzzilli, un ragazzo di vita, è protagonista del romanzo “Una vita violenta” che Pasolini inizia a scrivere nel 1955 e che viene pubblicato nel 1959 da Garzanti.
Il titolo stesso del romanzo fa da preludio alla vicenda narrata, che vede il protagonista alle prese con la quotidiana violenza che caratterizza la borgata romana del secondo dopoguerra.
Pasolini conosce molto bene quella realtà, poiché nel 1950 si trasferì a Roma con la madre ed entrò in contatto con l’ambiente di borgata, restando fortemente impressionato dagli effetti disastrosi che la guerra aveva lasciato dietro di sé, soprattutto in quelle zone periferiche, dove molte famiglie erano costrette a vivere in villaggi di baracche in mezzo all’immondizia e dove brigate di giovani delinquenti cercavano affannosamente di restare a galla, lottando quotidianamente con la fame e la povertà.
E’ ciò che tenta di fare Tommasino che, a soli 13 anni, si trova già a partecipare a spedizioni teppistiche, contemplando la violenza e la delinquenza come unico modo di stare al mondo.
Le vicende si svolgono in un arco di tempo di circa sette anni, tuttavia l’azione non si svolge in maniera del tutto lineare.
La parte iniziale del romanzo risulta essere un affresco verista della borgata romana degli anni 50, dove un coro di giovani violenti e senza scrupoli tenta di raggranellare qualche “piotta” attraverso furti, prostituzione, sfruttamento, simpatizzando quasi inconsapevolmente con il Movimento Sociale, senza però possedere alcun tipo di coscienza politica.
Durante una rissa Tommaso accoltella un altro giovane e viene condannato a due anni di carcere.
E’ questo un momento fondamentale nell’evoluzione del personaggio. L’autore, non soffermandosi sull’esperienza del carcere vissuta da Tommaso, lascia al lettore il compito di immaginare quali cambiamenti tale esperienza possa aver generato in lui, traghettandoci direttamente alla fine dei due anni. Ciò che lo aspetta fuori è una vita nuova, apparentemente migliore, poiché la sua famiglia ha finalmente ottenuto un alloggio dell’INA-Casa e nonostante la morte dei suoi fratellini, avvenuta durante il periodo del carcere. Anche in questo caso l’autore mette in primo piano il bisogno di stabilità economica del protagonista, che appare più forte del dolore per la perdita dei fratelli. Tommaso, prima di rientrare a casa, si sofferma ad osservare le baracche della Piccola Shangai, quel “mucchio di catapecchie sulla strada tra Pietralata e Montesacro, poco prima del punto dove la cloaca del policlinico sbocca nell’Aniene“, dove il giovane ha vissuto tutta la sua vita e sente di avere finalmente la possibilità di elevarsi socialmente da quel luogo di miseria.
Tommaso è deciso a ripartire da zero. Desidera sposare Irene, che per prima svela il suo lato più impacciato e timido e nasce in lui l’idea di iscriversi alla Democrazia Cristiana, come ricerca di una maggiore stabilità e di un appoggio sicuro per il futuro.
Il giovane si illude di essersi ormai riscattato socialmente e di poter cancellare il suo passato burrascoso, ma il sogno viene infranto da una nuova tragedia: la tubercolosi.
Tommaso viene ricoverato in un ospedale ed è in questo nuovo luogo di sofferenza che si compie un’altra evoluzione del personaggio, il quale si trova a solidarizzare con ricoverati e infermieri comunisti, partecipando attivamente a proteste e scioperi.
Dopo questa esperienza in sanatorio le convinzioni politiche di Tommaso mutano di nuovo: una volta fuori decide di iscriversi al Partito Comunista. Tuttavia, nonostante la nuova presa di coscienza politica e un lavoro stabile, Tommaso continua sporadicamente a prostituirsi e ad utilizzare mezzi illegali per racimolare un po’ di soldi.
La vicenda si conclude tragicamente.
Una domenica Tommaso si sveglia felice perché finalmente potrà indossare il suo nuovo abito, simbolo anch’esso di riscatto sociale. La pioggia, però, oscura fin da subito la sua felicità. Tommaso decide di uscire ugualmente e scopre che l’Aniene ha inondato il vecchio quartiere di baracche dove ha passato tutta la sua infanzia. Il giovane si ritrova con gli amici al riparo in un bar e per la prima volta la sua crescita morale lo pone in una posizione differente rispetto al resto del gruppo, in cui come sempre tutti sono concentrati solo su se stessi e sui propri bisogni. Tommaso, dopo l’esperienza in sanatorio, si sente invece legato a un’idea più ampia di comunità e decide di aiutare i pompieri impegnati nei soccorsi, immergendosi nel fango, rovinando inevitabilmente l’abito nuovo e non solo…
Il destino è, come sempre, cieco e impietoso.
Tommaso, pur avendo rischiato la vita per salvare una povera donna delle baracche, non riceverà nessun premio. Anzi.
Il giorno dopo si sente male, la malattia si è riacutizzata e velocemente arriva la morte.
Una morte che non lascia tracce di commozione nell’autore, che travolge invece il lettore solo con la propria rabbia e con un immenso e inspiegato senso di ingiustizia.

Pasolini scrive “Una vita violenta” dopo aver scritto “Ragazzi di vita”, e ha come intento fondamentale quello di descrivere una realtà che ha sotto gli occhi, senza però mostrare mai il proprio punto di vista nella vicenda, poiché sono i personaggi stessi che, attraverso le loro azioni, dipingono un ambiente ostile e violento.
Pasolini si pone di fronte ai suoi popolani senza esprimere un  giudizio etico, ma pare limitarsi alla registrazione dei fatti che lascia cadere ogni domanda di senso.

«Penso che il romanzo debba essere necessariamente oggettivo: l’autore borghese non ne ha forse gli strumenti, per farlo, perduti col senso della propria storicità, svaporati nella metastoria intimistico-stilistica. Essere oggettivo non significa però essere ottocentesco: al positivismo generico che presiedeva al realismo di quel secolo, si è ora sostituita una bella precisa filosofia, quella marxista. La visione oggettiva di un personaggio, di un ambiente, di una classe sociale, che ne deriva, non può essere che diversa e nuova… Il romanzo non può essere che pura rappresentazione: il significato ideologico o sociologico, deve essere mediato dalla fisicità più immediata…Personaggio in azione, paesaggio in funzione, violenta e assoluta mimesi ambientale»

L’affezione al personaggio principale, Tommasino, avviene quasi inconsapevolmente, poiché egli non rappresenta l’eroe positivo al quale i grandi romanzi del passato ci hanno abituato, ma si mostra in tutta la sua fragilità di giovane senza istruzione, povero e immerso in un mondo violento e senza princìpi.
Nonostante il suo “stato di natura” selvaggio, Tommaso è l’unico personaggio della storia che compie un’evoluzione morale, anche se resistono in lui atteggiamenti egoistici e crudeli.
Anche nel rapporto d’amore con Irene, Tommaso non esita a mostrarsi duro e a tratti violento; tuttavia si scorgono in lui sfumature di timidezza e umanità che egli cerca sempre di soffocare, ma che ce lo rendono inevitabilmente amabile.
Tommaso sembra spesso in balìa degli eventi, trascinato e sballottato dalla vita. Nonostante i suoi accennati tentativi di cambiamento, sono sempre gli eventi esterni ad avere la meglio su di lui, portandolo alla morte, nonostante il gesto eroico.

Una nota a margine merita l’analisi del linguaggio usato dall’autore.
Egli compie quella che lui stesso definisce “regressione”, utilizzando un codice linguistico dialettale, un nuovo gergo delle borgate che contiene un misto di romanesco e di dialetti meridionali, creando quindi un linguaggio del tutto innovativo.
L’autore compie un’ulteriore evoluzione linguistica rispetto a “Ragazzi di vita”, in cui si mischiava italiano e dialetto, poiché non mantiene più la differenza tra voce narrante e lingua dei personaggi, utilizzando anche per la prima il romanesco delle borgate.
Ciò rende la lettura inizialmente faticosa (nonostante la presenza di un glossario in appendice); tuttavia, con lo scorrere delle pagine, essa diviene sempre più fluida, poiché il lettore si trova immerso totalmente nella realtà descritta, rinunciando alla comprensione totale dei termini usati a vantaggio di un clima narrativa decisamente coinvolgente.

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