Cinque domande a Gaia Conventi in occasione della pubblicazione del suo ultimo romanzo, Il male allo specchio (clicca sul titolo per leggere la nostra recensione)
D – La pubblicazione del tuo ultimo romanzo coincide con il tuo trasloco…
R – Già, ed è stata una sorpresa anche per me. Da tempo pensavo di tornare ad abitare a Ferrara – a pochi passi da piazza Ariostea, se qualcuno volesse passare a trovarmi – ma la cosa si è concretizzata proprio con l’uscita del romanzo. Una storia nata qui – ma ho già smantellato il mio studio, ora è soltanto uno stanzino zeppo di scatoloni – e che qui sembra concludersi. Del resto, la vita è fatta di punti e di virgole: questo è un punto fermo. O se volete un punto esclamativo, visto l’entusiasmo con cui affronto il trasloco (nonostante i 38 gradi della Pianura Padana).
D – Cosa ci racconti della tua esperienza di insegnante di scrittura creativa? Come trovi i giovani di oggi?
R – Poter insegnare ai giovani liceali quel che ho appreso sul campo in vent’anni di scrittura mi ha ringiovanita, purtroppo non ha spianato le rughette ma non si può avere tutto. Ho avuto modo di portare felicemente a termine un progetto davvero unico nel suo genere: un PCTO – dunque una “alternanza scuola lavoro” – che ha trasformato gli studenti in giallisti, con tanto di pubblicazione con una casa editrice. Una casa editrice seria, con editing ai racconti, firmacopie dell’antologia, presentazioni letterarie… Devo ringraziare la prof.ssa Teodora Liscio che ha creduto nella mia idea strampalata di mettere a segno una “vera” alternanza scuola lavoro, e devo ovviamente ringraziare la redazione di VGS Libri per essersi lasciata coinvolgere nel progetto. Non è da tutti buttarsi a capofitto in una simile impresa. E com’è andata? Direi benissimo, ma l’ebook “Diamanti e Misteri” è scaricabile dal sito della casa editrice e dunque potete giudicare da voi.
Ho scoperto che i nostri ragazzi sono restii a lasciarsi coinvolgere in qualcosa che reputano difficile, poi però la curiosità prende il sopravvento e dopo qualche ora di lezione – ma io arrivo dal teatro e dalle improvvisazioni sul web, le mie lezioni sono un tantino variopinte… – tutto cambia.
Nello stesso liceo, oltre a “Diamanti e Misteri” mi sono occupata di un corso basic di scrittura creativa per diverse prime classi del biennio, ed è stato parecchio divertente. A quell’età si può tirare fuori il meglio e si possono smussare gli angoli. Mediamente i nostri ragazzi hanno buona padronanza della propria fantasia e grande antipatia per la grammatica. Un po’ li capisco, ecco perché insisto nel dire e ripetere – in classe, online e ovunque – che l’italiano è un’arma strepitosa, occorre però affilarla. Più l’italiano rende ciò che pensiamo, più possiamo pensare in grande perché poi sapremo scriverlo, raccontarlo, farne un racconto o un romanzo.
D – Iduccia Malacarne… ricordo male o l’abbiamo già trovata in una tua precedente storia? Cosa simboleggia?
R – I miei romanzi sono pieni di rimandi, spero sempre che qualcuno se ne accorga. Iduccia somiglia a Marisa di “La morte scivola sotto la pelle” – con cui vinsi il Gran Giallo Città di Cattolica nel 2009, finendo poi sul Giallo Mondadori – e alla Dama Nera di “Scacco alla regina”, lavoro teatrale presente in “Sofà, pièce per divano e diretta social” (Le Mezzelane Casa Editrice). Ma di certo la si ritrova – tutta o in parte – in molte altre cose che ho scritto negli anni. Allo stesso modo il tema del doppio lo si scova in “D’argine al male” (Le Mezzelane Casa Editrice) e nel racconto “Scomparsi: la fame segreta dei flutti” (lo si può leggere e acquistare su Amazon). Ci sono cose che mi porto dietro come altri fanno con le lenzuola ricevute in eredità dalla bisnonna, ho un capiente baule pieno di incubi da cui pescare.
D – Da ipocondriaco quale sono, mi ha molto colpito la rappresentazione della malattia (“Il cavalcare inesorabile della sindrome di Behçet”)… Come nasce questa tematica?
R – Innanzitutto – sono pignola – raccomando a chi mi leggerà di non pronunciare questo malanno alla francese: si tratta infatti di un medico turco. Il tale scoprì che lungo la via della seta – è un male che, tanto per intenderci, in America è praticamente inesistente – i casi di morbo di Behçet hanno una preoccupante incidenza. A dirla in breve, si tratta di una infiammazione dell’organismo che si manifesta in diversi modi, uno più brutto dell’altro.
Mi chiedi come nasce la tematica, ti racconterò quindi che la prima stesura del testo risale a più di dieci anni fa, in quel periodo temevo d’essere affetta dal morbo di Behçet. Ne parlai al telefono con una signora che ne soffriva e che mi spinse a utilizzare la malattia in un romanzo: “per fargliela pagare”, disse lei. Qualche mese dopo la prima bozza, seppi che non avevo a che fare col Behçet e la cosa mi rincuorò parecchio. Il libro rimase in un cassetto per un decennio, mi chiedevo se fosse il caso di pubblicarlo, se fosse giusto usare il mio scampato pericolo a fini editoriali. Alla fine, mi sono decisa dicendomi che in questi anni ho utilizzato di tutto per mettere ansia ai lettori, tanto valeva metterci dentro un po’ di spavento vero: il mio.
D – Nel tuo romanzo vi sono ancora tante bambole e cartoline da Ferrara… Ci regali qualche curiosità?
R – Le bambole, già. Io ho un problema con le bambole. Le fotografo e ne scrivo ma fondamentalmente mi mettono a disagio. Tra l’altro c’è una new entry in questo mio mondo di balocchi: la bambolina di Giuliana, una bimba morta piccolissima nel 1915. Sulla sua tomba, al cimitero della Certosa di Ferrara, è comparsa una piccola bambola di pezza. Da mesi sto tentando una silente comunicazione con questa nobile anima che regala bambole a bambine morte in fasce. Ogni tanto passo a controllare se la bambola è ancora al suo posto, se è stata spostata, se è seduta… Voi mi direte che basterebbe lasciare un biglietto e sperare in una risposta, ma io amo le sorprese. Amo il macabro. Spero sempre che con la bambolina ci giochi Giuliana, non levatemi questo piccolo piacere.
Vi racconto della Certosa perché vado spesso a fotografarla – tra l’altro sono contributor fotografico per Shutterstock – e l’appartamento in cui mi accingo a trasferirmi è proprio in quella zona.
Mi chiedi delle cartoline presenti nel romanzo. Si tratta di scene immaginate come se uscissero dalla pellicola, sono mostrate e non raccontate. Ho anche aggiunto della musica e le canzoni citate sono state vagliate con attenzione. Fanno parte della storia, la completano e la rendono in qualche modo più interessante. Io poi ho una passione per la musica italiana degli anni Trenta, i lettori lo capiranno leggendo “Il male allo specchio”, e chissà che il brivido del thriller non aiuti a sopportare il caldo!
Buona estate e buone letture, portare in valigia un libro è come viaggiare due volte.
Grazie Gaia per essere tornata con noi, ad augurare buone vacanze ai lettori di www.i-libri.com ai quali non potrà mancare la lettura del tuo romanzo che promette brividi, in riva al mare, ad alta quota e – perché no? – tra le mura domestiche sprofondati nel divano…
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