Nel corso del tour italiano di presentazione del suo nuovo romanzo, “La mappa del destino”, abbiamo incontrato in un hotel di Milano, su gentile invito della Editrice Nord (che qui cogliamo l’occasione per ringraziare), l’autore statunitense Glenn Cooper.
Modesto e con grande senso dell’umorismo, l’autore è stato molto disponibile nel rispondere alle nostre domande.
I suoi primi tre romanzi, “La biblioteca dei morti”, “Il libro delle anime” e “La mappa del destino” hanno ottenuto un incredibile successo di pubblico a livello internazionale. L’ultimo dei tre è attualmente al vertice delle classifiche italiane dei libri più venduti. Quando per la prima volta si è avvicinato al mondo della scrittura e dell’editoria, immaginava di poter ottenere dei risultati tanto importanti?
Assolutamente no, è stato veramente incredibile anche per me. Mi sono limitato a seguire l’onda e vedere dove andava. Per me è stato molto gratificante vedere una risposta di pubblico così forte. Dopotutto, la scrittura è un’esperienza solitaria. Si passa molto tempo da soli a scrivere e non si ha idea di come il proprio lavoro verrà accolto dal pubblico. Alcune volte c’è un rapporto inverso tra la qualità del libro e la risposta dei lettori. Spesso libri di grande qualità non hanno un grande successo commerciale. Per me l’obiettivo importante era quello di scrivere un libro di qualità, che avesse alle spalle una gran quantità di lavoro accademico e di ricerca, ed è stato fantastico ottenere un così grande successo di pubblico.
Quanto tempo ha impiegato per scrivere i suoi libri?
L’intero processo richiede più o meno un anno, nove mesi di scrittura e tre mesi di lettura e ricerca.
Comprensibile. Vista la quantità di riferimenti storici, è certamente necessaria un’accurata ricerca.
E’ vero, ma ci sono sempre lettori che trovano errori.
Ha più volte parlato della sua passione per la storia e l’archeologia. Il suo romanzo “La mappa del destino” è in parte ambientato in epoca preistorica. Si tratta di uno scenario non molto comune. Com’è nata questa idea?
Non sono il primo ad aver raccontato la vita preistorica. In realtà, crescendo sono stato influenzato dalle opere di Jean Auel, che ha scritto libri come “The clan of the cave bear”, nel quale ha inventato la società preistorica immaginando i rapporti umani esistenti all’epoca. C’è stato poi anche un libro di William Golding, “The Ineheritous”, nel quale l’autore ha narrato la transizione dall’epoca precedente al cromano. E’ stato quindi fatto in precedenza. La mia intenzione era quella di riuscire a trovare un modo per rappresentare la loro maniera di comunicare [ndr. degli uomini preistorici]. Non volevo essere accusato di aver inventato i dialoghi tra uomini delle caverne perché sarebbe stato impossibile. Per questo ho deciso di non farli parlare e di narrare in terza persona.
Il protagonista de “La mappa del destino” è Luc Simard, un brillante archeologo e professore universitario. Molto concentrato sul lavoro ed amante delle belle donne, non cura con altrettanto entusiasmo le sue relazioni sociali. In questo, forse, potremmo dire che Simard assomigli al protagonista dei sui primi due romanzi, Will Piper. Anche lui sa apprezzare la bellezza femminile e non è particolarmente socievole. Entrambi, eccellenti professionisti, sono anche dei personaggi profondamente umani. Le va di parlarcene?
Penso che lei stia cercando una confessione. Quello che posso dire è che sono sposato da 36 anni e non sento molta affinità con i personaggi. Quando ho iniziato non volevo scrivere lo stesso tipo di personaggio. Volevo scrivere di un archeologo. Ne conosco molti, ho lavorato nel campo e studiato con molti di loro. Devo dire che lo stereotipo é molto vicino alla realtà di tutti loro. Sono avventurieri affascinanti che attraggono le donne, ma non vogliono essere bloccati senza poter girare per vivere le proprie esperienze esotiche.
Ad ogni modo, nel mio prossimo libro il mio personaggio è una suora italiana, abbastanza differente, quindi.
Dopo il successo dei primi tre libri, in ognuno dei quali la storia è ambientata in tre epoche storiche differenti, nel suo quarto romanzo, “Near Death”, non ancora pubblicato in Italia, ha deciso di utilizzare una tecnica narrativa più tradizionale, ambientando la storia nel presente. Come mai? Darebbe qualche anticipazione ai suoi lettori italiani?
La mia intenzione era di esplorare soggetti differenti in modo diverso, con una struttura più tradizionale, scevra da elementi storici. Non sarà comunque quello il prossimo libro, che dovrebbe invece essere quello della suora italiana. Near Death dovrebbe essere il successivo.
Ero nervoso quando ho deciso di cambiare la struttura narrativa, così come lo erano le persone intorno a me. Quando una tecnica narrativa funziona, gli editori hanno difficoltà a permetterti di abbandonarla. Volevo spingermi oltre e avere la libertà di poterlo fare. Come sai, nel mondo dell’editoria questa libertà bisogna conquistarla.
Ho letto nel suo blog che era molto nervoso per questo nuovo libro [La mappa del destino, ndr], che considerava come un nuovo esordio, anche alla luce del fatto che “Il libro delle anime”, in quanto sequel de “La biblioteca dei morti” poteva giovarsi del successo di quest’ultima opera.
Sì, è vero, per la stessa ragione [per cui ero nervoso nel cambiare struttura narrativa, ndr.]. E’ fantastico che questo nuovo libro abbia avuto successo, dandomi maggiore libertà. Come quando Ken Follett ha fatto la grande transizione dal genere spy thriller, passando a scrivere drammi storici. Non sono certo che i suoi editori fossero felici di quella transizione, ma ha funzionato molto bene perché è un grande scrittore.
Parliamo ora del suo quinto [quarto ndr.] libro “The Devil Will Come”, anche questo non ancora pubblicato in Italia. Abbiamo saputo che la storia in parte si svolge nell’antica Roma. Questa scelta è sempre dovuta alla sua passione per l’archeologia, questa volta romana, o forse è solo un valido pretesto per passare qualche settimana in Italia?
Sì, decisamente. Un’altra confessione. Stavo lavorando ad una storia che coinvolgesse il Vaticano. Ho scelto un eroe non convenzionale: una giovane suora che non ricopriva ruoli di potere e senza legami con persone potenti, ma con una grande cultura. Lei, infatti, era un’archeologa prima di diventare suora ed aveva grandi capacità. Come i libri precedenti, anche questo opera su tre piani narrativi: la Roma del primo secolo, la Roma moderna e l’Inghilterra elisabettiana. Strutturalmente quindi ci sono similitudini con i libri precedenti nel modo in cui il libro è strutturato, ma certamente si è trattato di una scusa per passare del tempo in Roma.
Ha già finito di scriverlo?
Sì, certamente.
Nella sua ultima intervista con i-LIBRI ci ha detto che forse avrebbe scritto un terzo ed ultimo romanzo a completamento della trilogia della “Biblioteca dei morti”. I suoi lettori sono impazienti di sapere cosa succederà, ha già iniziato a scrivere?
Il problema è che anche io sono impaziente di sapere cosa succederà. Devo trovare un’idea. Sono ansioso e devo crearla.
In realtà, non sono così bravo a trovare un’idea. Ho scritto i primi libri come opere indipendenti, ed inventare un sequel diventa difficile, una bella sfida. Un po’ come J. K. Rowling, che non intendeva scrivere sette libri, ma il primo ebbe successo e… lei è molto intelligente. Ad ogni modo, credo di avere un’idea per il terzo libro della trilogia che scriverò come prossimo, o forse come libro ancora successivo, avendo già un’altra idea ancora.
E’ previsto l’adattamento cinematografico di qualcuno dei suoi libri?
Me lo auguro. Ci sono molte negoziazioni in atto per realizzare una versione cinematografica de “La biblioteca dei morti”. Ho avuto notizia di ulteriori interessamenti e attendo di vedere se le offerte si materializzeranno. La cosa è fuori dal mio controllo.
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