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Scrittori

Marco Tomatis – autore del libro “Odore di guai” edito da Fanucci

a cura di Nicoletta Scano

Marco Tomatis è autore di libri per ragazzi e sceneggiature per fumetti, di romanzi per adulti e numerose pubblicazioni di carattere divulgativo.

Da oltre trent’anni sulla scena editoriale, ha contemporaneamente lavorato come insegnante (alle elementari, alle medie e alle superiori) e come preside.

Recentemente Marco Tomatis ha pubblicato per Fanucci il romanzo Odore di Guai, da pochi giorni  recensito anche sul sito I-libri.com.

Buongiorno Marco, benvenuto su i-LIBRI.com e grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande.

Quando ha cominciato a scrivere? Quanto è stata importante per lei questa forma d’espressione?

Professionalmente ho cominciato a esistere come autore nel 1976, con la pubblicazione su “Linus” del mio primo lavoro,” L’Italia l’è malada”, una storia d’Italia a fumetti attraverso i testi delle canzoni popolari con i disegni di Cinzia Ghigliano.

In realtà la scrittura  ha cominciato ad affascinarmi fin da piccolo, penso come logica  conseguenza del mio amore per la lettura perché ero e sono un lettore onnivoro.

Per me scrivere è stato ed è molto importante. Mi gira sovente per il cervello una affermazione di P.D. James, la grande scrittrice inglese che chiamare giallista è parecchio riduttivo, che nella sua autobiografia afferma di essersi messa a scrivere “per tenere a bada le sue tigri addormentate”.

Per me si tratta di una frase illuminante. Quando scrivo non mi accorgo del tempo che passa. Sarei capace di stare ore al computer immerso in un mondo tutto mio in cui non c’è posto per  tutti i grandi e piccoli problemi che si presentano quotidianamente nella vita. E quando smetto, penso sia proprio questa immersione a permettermi di affrontarli con maggiore consapevolezza e serenità e di convivere meglio con i piccoli e grandi conflitti interiori, le malinconie e le tristezze che in fin dei conti ci fanno umani.

Per non parlare di altri benefit per usare un linguaggio manageriale. La scrittura in fin dei conti mi ha permesso di andare in giro a parlare dei miei libri, di conoscere realtà diverse, di incontrare persone che valeva la pena conoscere e di stringere anche sincere amicizie.

E ritengo pure di avere avuto una fortuna particolare, perché da adulto, proprio grazie alla frequentazione dell’ambiente editoriale, sono riuscito ancora a conoscere un buon numero di autori che mi avevano affascinato da bambino ed adolescente, da Mino Milani a Bottaro a vari sceneggiatori e disegnatori di fumetti.

Tra le sue opere non ci sono soltanto libri per ragazzi, anche se, negli ultimi anni, sono state soprattutto queste pubblicazioni a portarle un grande riscontro di pubblico. Come è approdato alla letteratura per i più giovani?

Ai lavori  per la fascia giovanile di lettori sono approdato quasi subito, quasi come una normale evoluzione del mio lavoro di sceneggiatore di fumetti, quando mi fu proposto di elaborare, per l’allora Corriere dei Piccoli, una storia a fumetti che ripercorresse le tappe del Bounty, la famosa nave il cui equipaggio si era ammutinato a un capitano dispotico ed era finito a vivere in un’isola deserta fino a quando la giustizia del tempo non ne aveva raggiunto i componenti.  Avventura pura, quella che mie era sempre piaciuta. Di lì a passare alla letteratura disegnata a quella scritta per ragazzi il passo è stato breve.

Devo dire che un incontro particolarmente fortunato dal punto di vita professionale è stato quello con Loredana Frescura, con cui ormai ho scritto cinque o sei libri,  che mi ha permesso di cimentarmi nella scrittura per adolescenti a cavallo tra infanzia e maggiore età.

Il suo ultimo libro, Odore di Guai, potrebbe definirsi un’opera fantasy: vuole raccontarci com’è nata questa storia? A cosa o chi si è ispirato per immaginare Nicoletta e un mondo surreale come Catorcia?

Come ho già detto sono un lettore onnivoro e leggo molto anche libri fantasy. Una cosa che mi ha sempre colpito di questo tipo di letteratura è, a parte rare eccezioni, l’estrema seriosità dei personaggi. Eroi ed eroine combattono nemici potentissimi e  ferocissimi, salvano mondi dalla catastrofe e dalla distruzione universale, lottano contro nemici terribili e sovrumani, sopportano torture inenarrabili, trionfano quasi sempre e, in linea di massima, ridono assai poco.

E’ ovvio che chi deve salvare il mondo non ha molto tempo per divertirsi, però sovente pensavo, leggendo, che non farebbe male, a un eroe o a una eroina,  non prendersi troppo sul serio ogni tanto. Ecco, il romanzo è nato di lì. Fare una sorta di fantasy leggera e umoristica. Ovviamente non ho inventato niente. Terry Pratchett e la sua saga del Mondo Disco, e Jonathan Stroud con le avventure di Bartimeus, tanto per citare due autori che mi piacciono, sono lì a dimostrarlo. Però immaginare questa compagnia di scalcagnati che salvano il mondo dalla minaccia dei raccoglitori di cose vecchie è stato divertente.

Per quanto riguarda Catorcia, il mondo in cui trovano rifugio gli oggetti dismessi, i catorci appunto, l’idea di base è stata molto semplice. Chi di noi non ha qualche oggetto a cui è particolarmente legato, perchè testimone di momenti belli, dono di qualche persona amica o amata o magari semplicemente considerato un  portafortuna? E questi oggetti non ci sembrano qualche volta animati da vita propria,  e capaci di provare emozioni e sentimenti, come lo straccetto di Linus o il peluche che il bambino abbraccia prima di dormire?

Di lì a immaginare che in determinate circostanze gli oggetti possano veramente vivere una loro vita, con tutte le implicazioni del caso,  il passo è stato breve. Nessuna invenzione particolare nemmeno in questo caso. L’animismo è una cosa normalissima nei bambini.

L’origine del nome Nicoletta poi è molto semplice. Quando devo dare un nome a un personaggio che dovrebbe essere simpatico anche ai lettori, scelgo nomi di persone che conosco e che mi piacciono. Nicoletta è uno di questi, un ricordo di tutte le  Nicolette che in tempi diversi hanno incrociato la mia vita e che in qualche modo mi hanno lasciato ottimi ricordi.

Lei ha scritto anche un romanzo (Le cose che non sai di me, 2009, Fanucci) dove il tema del terrorismo e delle sue vittime è in definitiva centrale: c’è una ragione particolare? Come si passa da un tema tanto difficile a una favola per bambini?

Il sentimento che sta alla base di “Le cose che non sai di me” è l’amarezza e l’indignazione nel vedere terroristi (sia ben chiaro di ogni ideologia) responsabili di reati gravissimi, compresi omicidi e stragi,  non solo esser fuori dalla galera, ma anche intervistati da giornali e TV, autori di libri, protagonisti di film e addirittura con importanti incarichi pubblici. Il tutto mentre le loro vittime non torneranno mai più  e le persone che le amavano e le amano soffrono da anni una pena senza fine, un vero e proprio ergastolo affettivo.

Ora, io penso che le sentenze della magistratura debbano essere osservate, anche se discutibili, per cui se un magistrato ha deciso che Tizio o Caio possano uscire a vario titolo dal carcere  va benissimo. Ma penso anche che i terroristi dovrebbero avere il buon gusto di sparire e tacere (ed eventualmente parlare solo se e quando intendessero rivelare alcune delle molte cose rimaste oscure degli anni di piombo) invece di sputare sentenze, ma soprattutto che intellettuali, media e  mondo dello spettacolo debbano fare molta attenzione a maneggiare e incoraggiare le loro uscite più o meno estemporanee.

Il libro appunto cercava di far vedere, attraverso vicende completamente di fantasia, come certe ferite non guariranno praticamente mai.

Per quanto riguarda il passaggio alla favola per bambini non ci vedo una grande difficoltà. In ogni caso si tratta di scrivere cose che in qualche modo ho dentro. Starà solo alle mie capacità riuscirci più o meno bene.

D’altronde lo fanno anche autori infinitamente più bravi di me. Penso per esempio ad Altan, che sa alternare da par suo (credo che sia uno dei più grandi autori italiani contemporanei) le storie piene di poesia della Pimpa a vignette umoristiche, ognuna delle quali, è stato detto, vale un articolo di fondo.

Ha fatto per molti anni l’insegnante. Vuole darci il suo punto di vista sui giovani e sul loro modo di affrontare la vita di tutti giorni, la scuola, l’amore? Crede che sappiano ancora sognare?

Si tende a fare dei giovani una categoria in termini assoluti ed è ovviamente sbagliato. Esistono i giovani come individui e occorrerebbe anche capire cosa si intende per giovani, perché uno studente universitario prossimo alla laurea è abissalmente lontano da un (una) quindicenne con ormoni a palla.

In ogni modo penso che sia sempre enormemente valido il detto, a volte ritenuto un po’ scontato, per cui fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce

Voglio dire la maggior parte dei ragazzi sono persone che stanno cercando il loro posto nella vita, con le difficoltà tipiche dell’età adolescenziale e che approderanno più o meno tranquillamente  a una vita adulta “normale”, con la quota fisiologica di dolore, sofferenza, felicità e serenità che tocca a tutti noi, almeno del mondo occidentale. Se uno nasce in Darfur ovviamente il discorso è diverso.

Mi conforta in questa convinzione il fatto che i figli degli amici che ho visto crescere e i ragazzi che ho avuto  a scuola hanno vissuto, in grandissima maggioranza,  un percorso del genere, anche se poi c’è chi fa l’operaio e chi il fisico teorico.

Che poi esistano devianze di vario tipo è verissimo, ed è giustissimo cercare di intervenire con tutti i mezzi a disposizione, ma che vengano generalizzate e si prendano come  esempi di intere generazioni, mi sembra molto sbagliato. Anche perchè  la diffusione di mezzi che solo una generazione fa non c’erano o non erano diffusi (cellulari, Internet con il loro seguito di Facebook, My Space, You Tube Twitter ecc ecc) tendono ad amplificare tutto in modo esasperato e a cambiare il punto di vista con cui vedere certi fenomeni.

Voglio dire che nessuno pensa a postare in rete un ragazzino che studia o una adolescente che fa volontariato, eppure sono molto più numerosi di chi per bravata tormenta un portatore di handicap o cose del genere.

E in ogni modo essere un po’ coglioni da giovani direi che è quasi un diritto, anche perché stupidaggini ne abbiamo fatte tutti. Certo noi adulti non dobbiamo mai abbassare la guardia, spiegare fino alla nausea quali comportamenti possono essere  pericolosi e intervenire anche per reprimere e castigare se è il caso.

E soprattutto cercare sempre di dare ai nostri figli dei valori per cui vale la pena vivere e impegnarsi, consapevoli che alla fin fine la felicità o anche solo la serenità personale dipende molto spesso dal caso, ma che sono proprio i valori in cui si crede che possono farci affrontare meglio i problemi esistenziali.

E poi smettere anche di incolpare di tutto la società in astratto. E’ vero, l’Italia in questo momento non è un paese per giovani, ma la società siamo noi e il cambiamento dobbiamo farlo partire dai nostri comportamenti quotidiani, anche quelli minimi. In sostanza, fai quello che devi e avvenga quel che può, anche nell’educazione delle giovani generazioni.

E poi penso che sì, quasi tutti i giovani  sappiano sognare e lottino per realizzare i loro sogni.

E lei? Qual è il suo rapporto con i sogni?

Com’è quel detto? Gli dei vogliono perdere le persone di cui realizzano i sogni? Penso sia vero. Il sogno è parte integrante del desiderio e se uno non ha più niente da desiderare rischia di esser messo male. Per quanto mi riguarda mi ritengo fortunato. Molti dei mie sogni li ho realizzati. Moltissimi invece no e sicuramente tra questi quasi tutti resteranno sogni.

Penso comunque che il rapporto con i propri sogni dipenda molto dall’età, e da quanto si è consapevoli dei propri limiti e quindi dal maggiore o minore realismo con cui si guarda alla vita e alle sue vicende. Faccio un esempio. Io frequento la montagna da quando ero ragazzino, ed ancora oggi andare per monti è una del cose che mi piace di più fare. Quando avevo meno di vent’anni sognavo di conquistare vette inaccessibili e di salire le montagne più difficili della terra. Poi ho capito abbastanza in fretta che si trattava di sogni non all’altezza delle mie capacità. Ne ho preso atto, ho ridimensionato le mie aspettative e  punto. Mi può spiacere, ma non ho rimpianti, perché comunque ho provato, non ho rinunciato a priori, ma solo quando ho avuto chiaro  che se avessi proseguito su una certa strada, c’era la quasi certezza di lasciare le proprie ossa in qualche posto sperduto.

Insomma penso che, soprattutto da giovani,  non si debba smettere di perseguire i propri sogni, che variano in continuazione, cercando però  di capire in tempo quali possono essere raggiungibili, magari  con una buona dose di fortuna, e quali invece no. Anche piccoli sogni,  sia ben chiaro, ma che comunque sono in grado di farti vivere meglio.

A proposito invece della sua esperienza come sceneggiatore di fumetti: quali consigli darebbe a chi oggi volesse intraprendere questa carriera?

I consigli sono gli stessi che darei a chi vuole intraprendere la carriera di scrittore. Leggere, leggere e ancora  leggere per sapere che cosa  hanno fatto gli altri prima di te e cercare di capire  le soluzioni usate per suscitare emozioni e sentimenti, perché di questo poi si tratta, emozionare chi ti sta leggendo. Anche se nel fumetto una componente essenziale è il disegno. Per il resto è anche una questione di fortuna,  ma  sono convinto che se uno ha talento in un qualsiasi lavoro creativo prima o poi questo gli viene riconosciuto.  E chi ha veramente talento sa di averlo, se lo sente dentro anche se gli altri non lo capiscono e non può fare a meno di esprimerlo in qualche modo.

In ogni modo chiunque ha il diritto di coltivare i suoi sogni e di giocarsi le sue carte. Semmai, come ho già detto,  deve cercare di esser abbastanza intelligente da capire, anche in questo caso, i propri limiti ed adeguarsi.  Ma questo vale in fin dei conti in tutti i campi dell’attività umana. Se uno pensa di essere Valentino Rossi e non lo è, molto probabilmente finirà per schiantarsi in qualche curva. Ma se prende atto dei suoi limiti potrà tranquillamente andare in moto e divertirsi fino a cent’anni.

Complimenti per il suo bellissimo sito (www.tomatismarco.com ), ovviamente pieno di immagini a fumetti! Che rapporto ha con le nuove tecnologie? E’ un irriducibile amante della carta stampata oppure pensa di potersi adattare ad un mondo letterario dove la parola “corre sul Web”?

Io penso che la parola  scritta resti tale sia su carta o su supporto informatico. Si tratta solo di mezzi. Anche io ormai leggo molte cose su schermo. Il giorno che non esisterà più il supporto cartaceo cambierebbe poco. Naturalmente so benissimo che, se dovesse succedere mentre sono in vita, cosa alquanto improbabile, proverò sicuramente grandissima nostalgia per l’odore della carta stampata, la sua sensazione al tatto, il fruscio delle pagine e tutto quanto costituisce la splendida fisicità del libro.

 

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